PUBBLICITÁ

Sindrome post Covid

“A cinque mesi dal contagio sto ancora male”. La coda lunga del coronavirus

Maria Carla Sicilia

Dolore e disturbi post traumatici da stress. Il racconto di Rossana, infermiera 33enne infettata nel lodigiano lo scorso marzo

PUBBLICITÁ

Roma. Del coronavirus conosciamo bene tutto quello che è legato alla fase acuta della malattia. Febbre alta, tosse, infezione polmonare. Le terapie intensive piene, i farmaci sperimentali. In pochi mesi, da quando il mondo ha visto per la prima volta il Sars-Cov-2, scienza e medicina hanno imparato molto del virus e anche chi non ha vissuto da vicino il contagio ha un’idea di cosa aspettarsi in caso di tampone positivo. Quello che può succedere dopo invece, una volta che il tampone negativo conferma che il virus è scomparso, non è altrettanto conosciuto né abbastanza condiviso.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Roma. Del coronavirus conosciamo bene tutto quello che è legato alla fase acuta della malattia. Febbre alta, tosse, infezione polmonare. Le terapie intensive piene, i farmaci sperimentali. In pochi mesi, da quando il mondo ha visto per la prima volta il Sars-Cov-2, scienza e medicina hanno imparato molto del virus e anche chi non ha vissuto da vicino il contagio ha un’idea di cosa aspettarsi in caso di tampone positivo. Quello che può succedere dopo invece, una volta che il tampone negativo conferma che il virus è scomparso, non è altrettanto conosciuto né abbastanza condiviso.

PUBBLICITÁ

 

Per Rossana è la stanchezza il sintomo più limitante con cui convivere da cinque mesi a questa parte. Da quell’ormai lontano venerdì 13 marzo, giorno in cui una lastra ha fatto emergere un’infezione ai polmoni che si è poi rivelata essere più complicata di una banale bronchite stagionale. In quella settimana, ricorda parlando al Foglio, erano le ambulanze a scandire le giornate a Casalpusterlengo, un piccolo comune nel lodigiano a cinque chilometri da Codogno, il paese del paziente zero, nella prima “zona rossa” d’Italia. Lei, che lavora all’ospedale della sua città come infermiera, non ha vissuto le limitazioni del lockdown fino al giorno della diagnosi: polmonite interstiziale da Covid.

 

PUBBLICITÁ

Da quel momento sono iniziate la quarantena e le cure da casa. Non c’era posto negli ospedali lombardi, i più sovraffollati d’Italia, di sicuro non per una persona senza patologie pregresse e giovane come Rossana, che ha solo 33 anni. “Sono abituata a stare dal lato di chi cura, ho fatto molta fatica ad accettare lo status di malato, ma non avevo la forza di stare in piedi”, racconta. “Ho passato notti insonni terrorizzata dalla fame d’aria, ho avuto la dissenteria per quaranta giorni, ho perso sette chili. Il letto è diventato il mio porto sicuro e nello stesso tempo anche la mia prigione: mi sono rimessa in piedi solo alla fine di aprile”.

 

Dopo tre accessi al pronto soccorso ha accettato di aderire a una cura sperimentale, ma ancora oggi la vita di Rossana, che ha un marito e un bambino di cinque anni, non è quella di prima. “Sono tornata a lavorare per un giorno, ora sono di nuovo in malattia. Gli sbalzi di temperatura accentuano un dolore al torace che mi accompagna da marzo, ho male ai linfonodi, sento una stanchezza che richiede tanto riposo e faccio ancora fatica a uscire”. La coda lunga del virus, la chiama Rossana Carpentiero, Rosa all’anagrafe, uno stato fisico e mentale che limita la qualità della sua vita e che non ha una cura, né una diagnosi, ora che è guarita.

 

Alcuni medici la definiscono “sindrome post Covid-19”, un insieme di sintomi che riguarda 9 pazienti su 10 e che persiste anche a distanza di oltre due mesi dal contagio. A parlarne è una ricerca della Fondazione policlinico universitario “Agostino Gemelli” Irccs e Università Cattolica, pubblicata a luglio sulla rivista scientifica Jama. La stanchezza intensa è quello che tedia più della metà del campione composto da 143 pazienti sotto osservazione dalla fine di aprile. Gli altri sintomi sono l’affanno, il dolore alle articolazioni e al torace. “E’ una malattia nuova, sconosciuta, è quindi importante cercare di individuare danni a breve o a lungo termine”, spiega il professor Francesco Landi, geriatra del Gemelli e tra gli autori della ricerca. Per il momento, quello che i medici sanno è che dopo la fase acuta della malattia gli organi interni non appaiono danneggiati, come si era temuto nei primi mesi della pandemia. Possono invece restare altri sintomi, anche soggettivi, come appunto la stanchezza, “che meritano di essere presi in considerazione”, sottolinea la ricerca. Decidere di farlo non è banale.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Di fronte a una malattia che solo in Italia ha causato 35.205 decessi ufficiali, parlare della sindrome post Covid-19 può sembrare superfluo, vista l’entità dei sintomi. A questi, nel 20 per cento dei casi si sommano anche problemi psichici legati a disturbi post traumatici da stress, perché per molti vivere la pandemia in prima persona è stato un incubo. “Odiavo sentire dire ‘andrà tutto bene’ mentre tutto continuava ad andare peggio”, ricorda Rossana. “Non posso dimenticare l’espressione incerta dei medici, quella che vedevo nei loro occhi, l’unica parte del corpo che potevano mostrare ai pazienti. Se ti ammali di una malattia che non conosci e che sembra incurabile ti puoi solo aggrappare alla speranza. E così ho fatto”.

 

PUBBLICITÁ

A distanza di cinque mesi però le incognite non sono ancora tutte risolte: quello che è stato scritto fino a ora nelle terapie intensive di tutto il mondo è un capitolo inedito della Medicina. E’ “un viaggio che nessuno prima d’ora ha mai fatto”, dice Rossana citando una canzone che ascolta spesso in questo periodo. Farlo in compagnia e con gli strumenti giusti renderebbe il percorso molto meno faticoso.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ