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Influenza o coronavirus? Prepariamoci al dilemma di novembre

Alberto Brambilla*

Il malanno stagionale potrebbe essere preso come una seconda ondata di Covid-19, alimentando il panico. Tenere pronti tamponi e reagenti

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La domanda che tutti dovrebbero porsi da “ieri” è: “Cosa succederà a partire da novembre (sempre che le temperature si mantengono discrete se no si anticipa) quando l’annuale epidemia di influenza inizierà la sua stagione 2020-2021?”. Se colpirà, come accadute per le precedenti stagioni tra i 5 e gli 8 milioni di italiani, la popolazione penserà che si tratta di una normale influenza o penserà a una seconda ondata di Covid-19? E siccome è normale che prevalga questa seconda ipotesi certificata da molti virologi ed epidemiologhi, cosa potrebbe succedere? Sarebbe il panico totale! Tutti si sospetterebbero a vicenda, le aziende richiuderebbero i battenti (anche perché se uno si ammala è colpa del datore di lavoro e quindi chi glielo fa fare?) e lo stato che si è trovato totalmente impreparato ad affrontare la pandemia di inizio anno, sarebbe costretto a chiudere tutto e a portare l’economia al definitivo tracollo vista l’impossibilità di finanziare milioni di disoccupati con strumenti quali la cassa integrazione ordinaria o in deroga, la Naspi o i sussidi vari (tutte cartucce a debito già sparate). In poche settimane avremmo qualche milione di persone che ai primi sintomi di febbre e mal di testa inizierebbe ad andare in panico: avrò il Covid? E come lo posso sapere? Semplicemente facendo un tampone e forse, ma se si è già avuto il virus come asintomatico, con un esame sierologico.

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La domanda che tutti dovrebbero porsi da “ieri” è: “Cosa succederà a partire da novembre (sempre che le temperature si mantengono discrete se no si anticipa) quando l’annuale epidemia di influenza inizierà la sua stagione 2020-2021?”. Se colpirà, come accadute per le precedenti stagioni tra i 5 e gli 8 milioni di italiani, la popolazione penserà che si tratta di una normale influenza o penserà a una seconda ondata di Covid-19? E siccome è normale che prevalga questa seconda ipotesi certificata da molti virologi ed epidemiologhi, cosa potrebbe succedere? Sarebbe il panico totale! Tutti si sospetterebbero a vicenda, le aziende richiuderebbero i battenti (anche perché se uno si ammala è colpa del datore di lavoro e quindi chi glielo fa fare?) e lo stato che si è trovato totalmente impreparato ad affrontare la pandemia di inizio anno, sarebbe costretto a chiudere tutto e a portare l’economia al definitivo tracollo vista l’impossibilità di finanziare milioni di disoccupati con strumenti quali la cassa integrazione ordinaria o in deroga, la Naspi o i sussidi vari (tutte cartucce a debito già sparate). In poche settimane avremmo qualche milione di persone che ai primi sintomi di febbre e mal di testa inizierebbe ad andare in panico: avrò il Covid? E come lo posso sapere? Semplicemente facendo un tampone e forse, ma se si è già avuto il virus come asintomatico, con un esame sierologico.

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C’è però un problema: per fare qualche milione di tamponi occorrono i tamponi appunto e fin qui nessun problema ma soprattutto i reagenti e le macchine per l’analisi dei campioni. E qui viene il difficile perché al di là della propaganda e salvo il Veneto che i reagenti se li è fatti da solo, a cinque mesi dall’inizio pandemico mancano ancora reagenti e soprattutto attrezzature che riescano a processare ben più di 500 tamponi al giorno; del resto se a dicembre si dovesse avere un milione di casi di influenza, considerati i familiari, di tamponi ne servirebbero ben più degli attuali 50/60 mila al giorno.

 

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Nel mio libro “Le scomode verità”, edito da Solferino, riporto una cronologia degli eventi che denota la totale impreparazione dell’Organizzazione mondiale della sanità che come compito primario ha quello di essere la “sentinella” delle pandemie e che invece non ha lanciato alcun allarme, anzi il 18 febbraio, l’Oms – i cui esperti erano in Cina per monitorare i contagi – mette in guarda il mondo contro inutili allarmismi e misure “sproporzionate”; ma evidenzia anche l’abitudine del nostro governo a raccontare frottole al paese: il 27 gennaio, Conte, dopo giorni e giorni in cui le tv di tutto il mondo ci mostravano le catastrofiche immagini di Wuhan, dichiara che “l’Italia è prontissima a fronteggiare l’emergenza avendo adottato misure cautelative all’avanguardia”. Quali siano queste misure e dove sia finito il piano del ministero della Salute da adottare in caso di eventi pandemici, non è dato sapere; come ignote sono le informazioni riservate che hanno indotto Conte a firmare, il 31 gennaio, il decreto che proclama lo stato di emergenza per la durata di 6 mesi. Quel che vediamo è che ancora oggi siamo abbondanti, molto abbondanti, di protocolli su come sanificare ogni cinque minuti una sedia, sul distanziamento, sul dare le colpe a chi ha voglia di ricominciare a lavorare (lo fa a suo rischio e pericolo) mentre sul resto il paese è carente. Ma a nessuno dei tanti, troppi organismi nazionali che si occupano di salute (ministero, Aifa, Iss, Css ecc.) è venuto in mente di pensare: “Se accadesse anche da noi, saremmo pronti?”. Abbiamo tute per i medici e gli infermieri, mascherine, test e così via? No persino alla dottoressa Annalisa Malara che ha di fatto scoperto il Covid sul “paziente 1” a Codogno, quando richiese di poter fare il tampone la risposta fu, più o meno “a suo rischio e pericolo”.

  

Ma da quanto tempo circola questo virus? Altro che gennaio 2020! Probabilmente era già in circolazione da mesi se nelle acque reflue di Milano e Torino sono state trovate tracce del virus già a dicembre 2019; e che dire degli ospedali di Milano, Como e Piacenza che a dicembre segnalavano un raddoppio delle “polmoniti anomale”? Ora scopriamo che ad Alzano Lombardo c’erano già a novembre. Ma non finisce qui: nel marzo 2019 l’Istat dice che sono stati oltre 15 mila i decessi per malattie respiratorie, 16.220 a marzo 2018 (nel marzo 2020 per Covid-19 i decessi sono 12.352). Altri dati purtroppo nonostante la pletora di scienziati non ce ne sono. Tuttavia la domanda che ora si fa sempre più pressante è: “Ma era tutta influenza o il sistema sanitario era in sonno mentre un/il virus circolava allegramente? I segnali per un disastro verso fine anno ci sono tutti e una semplice domanda è lecita: “Questa volta siamo preparati, abbiamo i reagenti che sarebbe bene produrre in Italia, abbiamo i camici protettivi, abbiamo rafforzato la sanità territoriale, i medici di base ci sono? Il dubbio si fa paura; e se accadesse che si scambi una normale influenza per una seconda ondata, cosa assai probabile, per l’Italia sarebbe un disastro, altro che “troica”. Speriamo in un ravvedimento operoso del governo.


 

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*Alberto Brambilla è presidente Itinerari Previdenziali

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