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Un rapporto spiega che vivremo altre quarantene prima del vaccino

Daniele Ranieri

Il manifesto scientifico della vita con il coronavirus dice che peggio di una guerra sarà una guerriglia

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Roma. In questi giorni si fa spesso l’analogia tra la pandemia in Italia e una guerra, ma forse sarebbe meglio fare l’analogia con una guerriglia. Non ci sarà una battaglia decisiva dopo la quale torneremo alla vita di prima. Ci saranno tante battaglie più piccole e campagne multiple contro focolai minori. Ci saranno stop and go, interruzioni e riprese. In certe zone ci saranno disastri, in altre a malapena si accorgeranno che le cose vanno male. 

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Roma. In questi giorni si fa spesso l’analogia tra la pandemia in Italia e una guerra, ma forse sarebbe meglio fare l’analogia con una guerriglia. Non ci sarà una battaglia decisiva dopo la quale torneremo alla vita di prima. Ci saranno tante battaglie più piccole e campagne multiple contro focolai minori. Ci saranno stop and go, interruzioni e riprese. In certe zone ci saranno disastri, in altre a malapena si accorgeranno che le cose vanno male. 

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Può essere che la Lombardia dovrà abituarsi all’alternanza tra lockdown e vita regolare, due mesi sì e uno no, e che la Sardegna invece godrà di periodi di tranquillità molto più lunghi (sono soltanto esempi, non è un’informazione). E questo sempre con l’occhio ai numeri dei letti disponibili in terapia intensiva, che regoleranno tutto il resto: se ce ne sono a sufficienza tutto va bene, se cominciano a scarseggiare si torna in quarantena. Treni, spostamenti ed esami universitari potrebbero essere soppressi e poi tornare normali, a seconda dello stato d’allerta. Queste sono le conclusioni dello studio finora più completo sulla pandemia in corso, fatto da una squadra di ricercatori dell’Imperial College di Londra guidata dal professore Neil Ferguson e condensato in un rapporto di venti pagine. Ne ha già scritto Paola Peduzzi su questo giornale due giorni fa ed è il manifesto della nostra nuova vita insieme con il coronavirus. E quindi, fino a quando non troveremo un farmaco efficace o non produrremo il vaccino giusto, vale la pena sapere molto bene cosa dice (è una lettura che cambierà come vedete la questione).

 

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La squadra di Ferguson ha preso i dati delle epidemie di Covid-19 in Cina, Corea del sud e Italia, li ha inseriti in un modello matematico che simula la diffusione del contagio e ha applicato il modello alla popolazione del Regno Unito e degli Stati Uniti. La prima volta ha cercato di capire cosa succederebbe se non ci fosse alcuna contromisura, vale a dire cosa succederebbe se inglesi e americani si lasciassero colpire dal Covid-19 come se fosse un’influenza qualsiasi (non lo è). We take it on the chin, prendiamo una botta sul mento (e sottinteso poi ci rialziamo), come diceva baldanzoso il primo ministro Johnson prima di leggere il rapporto Ferguson e cambiare idea. L’ottantuno per cento di inglesi e americani sarebbe contagiato, lo 0,9 per cento morirebbe e tra il 4 e l’8 per cento di tutte le persone sopra i settant’anni morirebbe perché sappiamo che il virus colpisce di più gli anziani. Se però si considera il problema di chi potrebbe sopravvivere soltanto con l’aiuto di una macchina per respirare le cose si complicano. I malati con polmoniti gravi dovrebbero essere messi in terapia intensiva, ma il loro numero sarebbe di trenta volte maggiore di quello dei posti in terapia intensiva disponibili in entrambi i paesi. Anche non considerando la necessità dei macchinari per respirare (che però esiste), alla fine i morti sarebbero più di due milioni in America e mezzo milione in Gran Bretagna. Se si applica il modello matematico su scala globale ci sarebbero più vittime che nella Seconda guerra mondiale.

  

Nessuno adotterà questa non-strategia contro il virus. Allora la squadra di Ferguson ha simulato cosa succederebbe a provare la “mitigation” contro il virus, quindi isolare chi mostra sintomi, mettere in quarantena le loro famiglie e tenere al riparo i cittadini più vulnerabili, quelli sopra i settant’anni. Lo scopo in questo caso è appiattire la curva del contagio in modo che il Sistema sanitario nazionale non soccomba all’ondata-picco di contagiati. La curva in effetti si appiattisce ma non basta, la necessità di macchinari per respirare sarebbe molto più bassa che nel primo caso ma comunque superiore di otto volte ai posti disponibili, la durata “finché è necessario”. I morti in America sarebbero comunque più di un milione.

 

La terza strategia possibile è quella della “suppression” e ci viviamo dentro in questi giorni. Isolamento, stare a casa, negozi e scuole chiusi, niente assembramenti, vita normale sospesa. Lo studio sostiene che funziona ma, attenzione, considera un periodo di cinque mesi. Le morti in questo caso sono qualche migliaio, i ricoverati in terapia intensiva raggiungono ma non superano il numero di posti disponibili, il contagio tocca un picco nel giro di poche settimane e poi tende a calare. C’è un problema ulteriore. Non appena la soppressione è interrotta, il virus torna, i numeri cominciano di nuovo ad alzarsi e bisogna chiudere tutto daccapo. E così via fino a quando non si trova un vaccino, che richiede un anno e mezzo di lavoro – quindi se ne parla nell’autunno 2021. Nel frattempo, si alterna soppressione e vita normale e magari anche le città si dovranno alternare, sempre con la minaccia reale che il virus torni e uccida milioni di persone. Lo studio raccomanda una proporzione di tempo di due a uno, due mesi in lockdown e uno in libertà. Si torna a respirare fino a quando il numero dei ricoverati in terapia intensiva non cresce troppo, quando supera il livello di guardia si torna di nuovo al coprifuoco.

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