24 febbraio 2022 - 24 febbraio 2023

La Patria e l'Europa. In Ucraina nazionalismo e liberalismo tornano amici

Luciano Capone

La resistenza contro l’invasione di Putin è insieme guerra di liberazione nazionale e per la democrazia liberale. L'unione tra gli ucraini di questi valori è un'opportunità per riflettere sulle culture war che lacerano le democrazie occidentali

“Non c’è alternativa alla vittoria ucraina. Non c’è alternativa all’Ucraina nell’Unione europea. Non c’è alternativa all’Ucraina nella Nato. Non c’è alternativa alla nostra unità”, ha detto Volodymyr Zelensky nel suo discorso alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza lo scorso 17 febbraio. A inizio aprile del 2022, poco dopo il ritiro dei russi dall’assedio della capitale e la scoperta degli eccidi di Bucha, in un discorso il presidente ucraino disse: “Ora Kyiv è la capitale della democrazia globale, la capitale della lotta per la libertà per tutti nel continente europeo. E voglio ringraziare i nostri difensori per aver reso possibile tutto questo, per il fatto che le forze armate ucraine detengono la maggior parte delle aree in cui il nemico ha cercato di irrompere nel paese”.

 

In tutti gli interventi il filo conduttore è quello della resistenza contro l’invasore, che è contemporaneamente guerra di liberazione nazionale e guerra per la democrazia liberale. La patria e l’Europa. Se l’invasione dei carri armati russi ricorda il Novecento, la resistenza che unisce patriottismo e liberalismo riporta allo spirito dell’Ottocento. Quello rievocato da Giorgia Meloni nella sua visita a Kyiv: “Mi ha ricordato la nascita dello stato italiano: c’era un tempo in cui si diceva che l’Italia fosse solo un’espressione geografica. Ma col Risorgimento ha dimostrato di essere una nazione. Qualcuno diceva che era facile piegare l’Ucraina perché non era una nazione. Ma con la vostra capacità di combattere avete dimostrato di essere una straordinaria nazione”.

 

Liberalismo e nazionalismo, che soprattutto negli ultimi anni in occidente sono visti in contrapposizione, sono in realtà due idee fondanti delle nostre democrazie liberali, dalla Rivoluzione francese fino alle rivoluzioni del 1989. In Ucraina stanno ancora insieme e si tengono sempre più strette, dalla Rivoluzione arancione del 2004 al Maidan del 2014 fino all’invasione attuale. Non semplicemente nella retorica dei discorsi del suo presidente, ma nella azioni e nelle ambizioni degli ucraini, ben rappresentati nelle bandiere dell’Ucraina e dell’Unione europea issate insieme nella piazza di Kherson dopo la liberazione. E a modellare e cementare questa unione è, di riflesso, la minaccia e l’aggressione della Russia che è, all’opposto, imperiale e autocratica. Per gli ucraini la lotta contro il colonialismo di Vladimir Putin e il rifiuto del suo Russkiy Mir vuol dire aderire a un modello che rappresenta un pacchetto di obiettivi, valori e istituzioni: integrità territoriale e sicurezza nazionale nella Nato, istituzioni democratiche ed economia di mercato nell’Unione europea.

 

L’errore di larga parte del mondo cosiddetto pacifista è quello di ritenere che il sostegno politico e militare dell’occidente non faccia altro che alimentare un pericoloso nazionalismo ucraino (addirittura nazismo lo chiamano). Non perché non ci siano elementi nazifascisti nella società ucraina (come peraltro, e forse in misura maggiore, in tutti i paesi occidentali). E neppure perché non esiste un pericolo concreto che le armi e la guerra rafforzino il potere politico di settori delle forze armate. Ma perché, al contrario, sarebbe proprio l’abbandono da parte dell’occidente a far esplodere un pericoloso e violento etno-nazionalismo. Come spiega lo storico Andrea Graziosi nel suo ultimo libro intitolato “L’Ucraina e Putin tra storia e ideologia” (Laterza), la nascente Ucraina indipendente poteva costruirsi su due diverse identità. O il nazionalismo integrale alla base della resistenza prima all’Impero asburgico e poi a quello sovietico, che però era caratterizzato da un’ideologia analoga a quella dei fascismi e nazionalismi degli anni Trenta. Oppure l’Holodomor, il genocidio per fame degli anni Trenta, e quindi l’identità di “un paese che si presenta come vittima del crimine più efferato che sia possibile commettere contro un popolo”.

 

Questa seconda identità, quella che si è affermata, è anche quella che a differenza della prima la rende compatibile con il sistema di valori democratici e l’adesione all’Unione europea. In questo senso, il sostegno occidentale è indispensabile proprio per riuscire a fortificare questa identità liberale e democratica dell’Ucraina, che al contrario senza la prospettiva europea potrebbe precipitare in una spirale di nazionalismo esasperato come quello visto all’opera nei Balcani. Il sostengo, anche militare, dell’occidente è quindi indispensabile per sostenere e alimentare la domanda di liberalismo dell’Ucraina.

 

Ma, al contrario, questa alleanza tra nazionalismo e liberalismo che si vede in Ucraina può essere un’opportunità, come ha osservato lo storico Yuval Noah Harari, per riflettere sulle lacerazioni che attraversano le democrazie occidentali. Che spesso corrono proprio lungo la divisione tra nazionalismo (o sovranismo) e liberalismo (o globalismo). “È ciò che la gente chiama culture war. La guerra culturale tra sinistra e destra, tra conservatori e liberali”, dice Harari. Con i primi che ritengono qualsiasi riferimento alla nazione come una forma di arretratezza e tradizionalismo. E i secondo che guardano a ogni allargamento dei diritti e cessione di sovranità come a una forma di perversione e di tradimento della patria. “Penso che questa guerra (in Ucraina) possa essere un’opportunità per porre fine alla guerra culturale all’interno dell’occidente, per fare la pace nella guerra culturale – ha detto Harari –. Ci sono cose molto più grandi al mondo di queste discussioni tra sinistra e destra all’interno delle democrazie occidentali. Ed è un promemoria del fatto che dobbiamo restare uniti per proteggere le democrazie liberali occidentali”.

 

Gran parte delle tensioni politiche degli ultimi anni, negli Stati Uniti come nell’Unione europea, ha riguardato una presunta inconciliabilità tra la prospettiva liberale e quella nazionale. “L’Ucraina ricorda che invece vanno davvero insieme”, è la lezione che secondo Harari le democrazie occidentali devono imparare da questa guerra contro l’imperialismo autoritario di Putin. “Storicamente, nazionalismo e liberalismo non sono opposti. Non sono nemici, sono amici. Si incontrano attorno al valore centrale della libertà”.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali