Foto dalla pagina Facebook "Alvaro Amici"

Roma capoccia

Alvaro Amici, icona in musica della tradizione popolare romana

Andrea Venanzoni

Talento precoce cresciuto alla Garbatella negli anni più difficili. Interprete intenso e vitale dell'anima più autentica della Roma di un tempo

Lotto 31 della Garbatella. Qui, più di ogni altra zona di Roma, il ricordo di Alvaro Amici è vivo, intenso e commovente.  E la gioviale, imponente e sorridente figura di Amici, che fu interprete straordinario della canzone popolare romana nonché attore, viene omaggiata con serenate e concerti e il passaparola intessuto di aneddoti. Alla Garbatella Amici visse, negli anni più difficili della Capitale.  Tra bombe, colpi di fucile e rastrellamenti, con la durezza del vivere, dell’arrangiarsi e del mostrare il cuore buono di una Roma forse ormai scomparsa fisicamente ma presente, molto presente, nelle note struggenti e in una bontà, il cuore grande, di chi senza pensarci due volte nascose ebrei perseguitati e li sfamò a costo della vita.

Era la sorella Wanda ad andare a prendere il cibo, presso quello che veniva definito ‘albergo bianco’ e poi tornava indietro, sincerandosi di non essere seguita, fino al lotto 31 dove gli Amici abitavano e dove alcuni ebrei fuggiaschi erano stati nascosti. Da ragazzo per mantenersi fece lavori umili e di ogni genere, ma con la piena consapevolezza che la musica era il suo destino. Talento precoce, partito militare estasiò gli ufficiali suoi superiori accompagnando il canto con il suono dolce e melodioso della chitarra, con un repertorio che scavava nelle viscere della romanità profonda e popolare. Stornellatore, spesso chiamato per romantiche serenate sotto i balconi di coppie innamorate, interprete intenso e vitale di una Roma verace, pulsante, impulsiva e però buona, gentile, che pure nel suo essere a volte sbruffona si commuoveva sotto il plenilunio specchiato nel Tevere e sui tetti delle Chiese, a cantarsi l’amore, un amore dolce, la Roma di un tempo, dispersa tra i meandri ombrosi di Testaccio, dove pure visse, e di Trastevere, quella Roma che nemmeno Adriano Celentano nelle vesti di Rugantino o di Er Più avrebbe saputo e potuto rovinare.

E se uno segue la mappa degli spostamenti, della vita condotta da Amici si imbatte in tutta la Roma popolana e periferica, da Garbatella alla Romanina, da Acilia a Vitinia, fino a Testaccio e al Circo Massimo dove aprì un locale per esibirsi con amici e una cerchia intima di conoscenti. Per paradosso, a offrirgli il primo successo è una emittente radiofonica napoletana, la Vis Radio, per la quale incide stornelli che anni dopo saranno raccolti in un 33 giri di grande successo. Amici canta la Roma profonda, licenziosa, divertita e divertente, bulla e impettita ma generosa, la Roma dei mercati rionali e delle piazze dove si brinda e dove si coltiva la memoria di antiche ‘passatelle’, il gioco a base di vino che non di rado terminava a coltellate.

Più di quella di Claudio Villa, la Roma di Amici è una città che mantiene intatto il suo senso di malinconica presenza, di rumoroso caos, di divertita ingenuità.  La sua voce, aperta e gioviale, si confronta con i classici assoluti della musica romana, da “’Na gita a li Castelli” a “Roma nun fa la stupida stasera”, riuscendo in ampi giochi di mimesi, passando di tono in tono dalla gioia spensierata degli stornelli di compagnia ad una certa velata malinconia d’amore quando allunga i versi “scejii tutte le stelle più brillarelle che puoi” ed evoca un “friccico de luna tutta pe’ noi”.

L’accoglienza romana, a volte burbera e scontrosa ma sempre di cuore, in “Fiori trasteverini”, e la dolce, a tratti straziante, ninna nanna di “Nonna”, ventre caldo e colmo d’amore che promette di sconfiggere la solitudine di un bimbo in forza di quel forte legame di passione che si ha con la propria nonna, e rivolta ad un bambino che ha perso la madre, in paradiso e che non può più tornare, e un padre che lo ha abbandonato. Ed è proprio così che mi piace ricordare Alvaro Amici, nonno metafisico di Roma che continua sui suoi dischi e con le sue canzoni a cantare l’amore per una città eterna che niente e nessuno, né sindaci, né classe politica, né torme insensibili di turisti, potranno mai piegare e sporcare in maniera irreparabile.

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