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Roma Capoccia

“La casa della vita”, Mario Praz a Roma tra bellezza e memoria

Andrea Venanzoni

Il libro edito da Adelphi racconta l’epopea dell’appartamento a Palazzo Ricci, in Via Giulia, dove l’anglista si oscurò alla vista della società. E in attesa della riapertura al pubblico si può visitare la casa-Museo di Via Zanardelli

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Incastonata lungo la riva sinistra del Tevere, per circa un chilometro di bellezza architettonica di palazzi, palazzetti, archi e chiese, Via Giulia rappresenta uno di quei luoghi di Roma in cui ci si potrebbe perdere nella beata contemplazione di ogni singola pietra. Qui, nel suo appartamento, a causa di un tragico incidente trovò la morte nel 1973 Ingeborg Bachmann. E qui, per lunghi anni, si oscurò alla vista della società Mario Praz, una delle figure più raffinate delle patrie lettere. Anglista, critico, accademico che dell’accademia condivideva poco gli stanchi e vuoti rituali, tanto da esserne poi stato quasi fisicamente emarginato anche in punta di disgustose maldicenze, esteta sopraffino e sublime collezionista. Laureatosi in giurisprudenza, con una tesi in diritto internazionale, Praz costituisce una delle molte figure che dal diritto, all’epoca molto più scienza umana di quanto sarebbe poi divenuta nel tempo delle iper-settorializzazioni, trasvolarono senza sforzi particolari, per sommo ingegno e vasta curiosità intellettuale, allo studio della letteratura, in cui pure dopo la pratica forense si era laureato. Figlio di un mondo in cui l’amore per le lettere sapeva essere viscerale come acqua gelida di un torrente, Praz, grazie anche a Giovanni Papini, vide crescere in lui l’interesse per la analisi critica dei testi, seguendo la direttrice smeraldina della sprezzatura. Il distacco olimpico attraverso le lingue di fiamma, così già bene illustrata da Giacomo Leopardi nello Zibaldone, e che pure Cristina Campo, frequentatrice della casa di Praz e amica dello stesso, avrebbe ripreso come propria stella polare.

 

In Praz, l’amore scoccò per le lettere inglesi, tanto da aver fatto meritare ai suoi studi il plauso di T. S. Eliot. Fu relatore della tesi di laurea di Roberto Calasso, che anni dopo, per Adelphi, avrebbe pubblicato una vasta parte delle opere del Maestro. Saturnino nei suoi amori di carta, memorabile la risposta che fornì ad un inserviente di biblioteca inglese che gli chiedeva se, per i suoi studi su sadismo e agonia romantica, gli servisse anche un volume contenente assai esplicite e carnicine illustrazioni: “of course!”. E d’altronde, proprio in quel notturno capolavoro che risponde al nome di ‘La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica’ era riuscito a scovare e citare, in nota, le oscure figure occultistiche di Aleister Crowley e Austin Osman Spare. Questo orizzonte tematico, e la piccineria invidiosa dei suoi colleghi accademici, che certo non gli perdonavano la enciclopedica, acutissima erudizione, e il suo essere rigorosamente contro lo spirito di un tempo che esigeva solo, a parole, impegno sociale, finirono con il relegarlo nella ‘malinconica solitudine’ della sua casa-Museo. Collezionista e attento catalogatore, Praz nella sua casa di Via Giulia, e poi in quella di Via Zanardelli ove si trasferì, compose un complessissimo, elaborato pantheon di sculture, mobilia, tappeti, arredi, oggetti. Su questa sacra arte del collezionismo e dell’arredamento, come ontologico dato di esistenza e resistenza a un mondo, quello esterno, troppo gretto per comprendere davvero il senso della raffinatezza d’animo, Praz ci ha lasciato vaste e deliziose opere.

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Dal sublime “La casa della vita” (Adelphi), epopea dell’appartamento a Palazzo Ricci, in Via Giulia, e poi in quello di Palazzo Primoli, a Via Zanardelli, divenuti entrambi estensione organica della personalità del grande autore, al recentissimo “Omelette soufflée à l’antiquaire. Elogio degli antiquari” (Aragno), che sin dal titolo ambisce ad essere una soffusa e tenera apologia dei cultori del bello. D’altronde Praz della dimensione domestica aveva fatto, raffinata, filosofia, dando alle stampe già nel 1964, per Longanesi, una “filosofia dell’arredamento”. L’invito quindi, non appena terminati i lavori di restauro e la conseguente riapertura al pubblico, è di visitare, come fosse il ventre sacrale di una Chiesa, la casa-Museo di Via Zanardelli, con i suoi 1200 oggetti di raro splendore e con la figura, eterna, di Praz ad accogliere il rispettoso visitatore.

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