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L'era del cinghiale

Marianna Rizzini

Dal degrado all'ungulato il passo simbolico in città è stato breve

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Un tempo era il degrado. Ora il degrado, con i suoi fratelli “abbandono” e “incuria”, ha preso direttamente sembianze non umane, e precisamente quelle dell'ungulato più odiato di Roma: il cinghiale. Da qualche tempo, infatti, al lamento per la Roma degradata per bancarelle, urtisti e turisti (peraltro tornati in gran numero), e per i tavolini e per la mala-movida, si è aggiunto il grido di sdegno per l'animale affamato che non soltanto si aggira alle porte della città ma anche a ridosso del centro, ché i cinghiali ora albergano nel verde di Monte Mario e, come da foto pubblicate ieri dal Corriere della Sera locale, banchettano direttamente dai sacchi della spazzatura (inevasa, e questo è il dettaglio che fa sì che tutto si tenga). E infatti, sul web, da ieri girano foto dei sacchi di monnezza rotti dai cinghiali “che banchettano”.

 

  

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E la paura del mostro ungulato che minaccia cani e forse padroni si aggiunge a quella dell'epidemia. Non il Covid, ma la peste suina, con vari casi accertati tra gli animali che si aggirano ai confini delle zone abitate, e una cabina di regia prossima ventura per fronteggiare l'emergenza. Intanto, in un momento in cui l'abbattimento può avvenire soltanto fuori dalla zona rossa, è stata firmata un'ordinanza (al momento riguardante le zone fuori da raccordo anulare), che parla di divieto di pesca, raccolta funghi e trekking nelle aree agricole o naturali, per evitare contatti anche indiretti con gli ungulati, e rischi e danni per gli allevamenti.

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E dal Comune si parla di “attività di monitoraggio e contenimento”, e dal governo il sottosegretario alla Salute Andrea Costa ha ribadito la necessità di un percorso partecipato, con speranza di un ritrovamento dell'equilibrio “tra mondo ambientalista e mondo venatorio” (i cacciatori, dice Costa, sono gli alleati nell'operazione di abbattimento selettivo, tanto più mentre gli agricoltori scrivono preoccupati al premier Mario Draghi).

 

E insomma, nella Roma che si riapre al turismo, e che vede questa primavera come la prima di una serie di primavere di rinascita, l'èra inattesa del cinghiale con la peste assurge a simbolo di minaccia perenne al primato di una capitale che si vorrebbe finalmente al livello delle capitali europee. Non per niente dal degrado al cinghiale, come nemico collettivo, il passo in città è stato brevissimo.

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