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“Qui in libreria più giornalisti che clienti, era meglio restare chiusi”

Alessandro Luna

Passeggiata tra i piccoli librai. Disinfettanti, mascherine, poca gente e dipendenti in cassa integrazione

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Roma. “Non ha proprio senso riaprire”, conclude sconsolato il proprietario di una libreria dietro il Pantheon. Da lunedì non si vede un cliente, a parte qualche affezionato che passa a salutare. “Negli ultimi giorni sono entrati più giornalisti che clienti”, continua, “e credo che molte librerie del centro come la mia siano nella stessa situazione. Non ci resta che trarre la conclusione che è ancora troppo presto per riaprire. Io lo faccio perché sono il proprietario di questo spazio e ci lavoro da solo. Pago giusto le utenze per tenere aperto il negozio e mi fa piacere. Ma per chi è in affitto e ha dei dipendenti è quasi impossibile”. Infatti i dipendenti delle librerie sono tutti in cassa integrazione e, con i pochissimi ricavi di questi giorni, è senza alcun dubbio controproducente rimetterli a lavorare, facendo perdere loro il sussidio statale. Se lo possono concedere le grandi catene, come il Libraccio a via Nazionale, dove lavora “meno di metà dell’organico”, riuscendo però a incontrare le esigenze delle poche persone che si presentano. “La Regione ci ha informato che bisogna garantire la capienza massima di tre persone ogni 40 metri quadrati, dipendenti inclusi. Per cui abbiamo spostato il banco delle informazioni all’entrata per regolare i flussi e accertarci che non entrino più persone di quante ne escono e, come tutte le altre librerie, all’ingresso offriamo al cliente guanti e disinfettante. Ci dobbiamo anche assicurare che, essendoci un numero chiuso, non si stia troppo tempo a guardare i libri togliendo spazio agli altri. Ma ancora c’è talmente poca gente che non è un problema. Di certo non aiuta il deserto di negozi che ci circonda”. E’ particolare che questa stessa lamentela, fatta dal dipendente di una grande catena, ci venga anche dal proprietario di un piccolo ma importante negozio di libri antichi dietro piazza Montecitorio. “Se tutti i negozi intorno a me sono chiusi, che senso ha che io riapra?”. Ha approfittato dei giorni in cui avrebbe dovuto riaprire per “sanificare”, ma sta seriamente considerando di non riaprire. “Non si è ancora capito se si può venire qui da un altro quartiere senza essere multati o meno”. Lo chiediamo a una pattuglia dei carabinieri che attraversa le vie del centro e che ci spiega: “I libri sono considerati beni di prima necessità, quindi se nell’autocertificazione c’è scritto ‘spesa’ puoi andare. Ma deve essere la libreria sotto casa”.

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Roma. “Non ha proprio senso riaprire”, conclude sconsolato il proprietario di una libreria dietro il Pantheon. Da lunedì non si vede un cliente, a parte qualche affezionato che passa a salutare. “Negli ultimi giorni sono entrati più giornalisti che clienti”, continua, “e credo che molte librerie del centro come la mia siano nella stessa situazione. Non ci resta che trarre la conclusione che è ancora troppo presto per riaprire. Io lo faccio perché sono il proprietario di questo spazio e ci lavoro da solo. Pago giusto le utenze per tenere aperto il negozio e mi fa piacere. Ma per chi è in affitto e ha dei dipendenti è quasi impossibile”. Infatti i dipendenti delle librerie sono tutti in cassa integrazione e, con i pochissimi ricavi di questi giorni, è senza alcun dubbio controproducente rimetterli a lavorare, facendo perdere loro il sussidio statale. Se lo possono concedere le grandi catene, come il Libraccio a via Nazionale, dove lavora “meno di metà dell’organico”, riuscendo però a incontrare le esigenze delle poche persone che si presentano. “La Regione ci ha informato che bisogna garantire la capienza massima di tre persone ogni 40 metri quadrati, dipendenti inclusi. Per cui abbiamo spostato il banco delle informazioni all’entrata per regolare i flussi e accertarci che non entrino più persone di quante ne escono e, come tutte le altre librerie, all’ingresso offriamo al cliente guanti e disinfettante. Ci dobbiamo anche assicurare che, essendoci un numero chiuso, non si stia troppo tempo a guardare i libri togliendo spazio agli altri. Ma ancora c’è talmente poca gente che non è un problema. Di certo non aiuta il deserto di negozi che ci circonda”. E’ particolare che questa stessa lamentela, fatta dal dipendente di una grande catena, ci venga anche dal proprietario di un piccolo ma importante negozio di libri antichi dietro piazza Montecitorio. “Se tutti i negozi intorno a me sono chiusi, che senso ha che io riapra?”. Ha approfittato dei giorni in cui avrebbe dovuto riaprire per “sanificare”, ma sta seriamente considerando di non riaprire. “Non si è ancora capito se si può venire qui da un altro quartiere senza essere multati o meno”. Lo chiediamo a una pattuglia dei carabinieri che attraversa le vie del centro e che ci spiega: “I libri sono considerati beni di prima necessità, quindi se nell’autocertificazione c’è scritto ‘spesa’ puoi andare. Ma deve essere la libreria sotto casa”.

 

I librai del centro, che sono per lo più specializzati in volumi d’antiquariato o in rarità, non possono quindi farsi raggiungere dai propri clienti. Ma, ci spiega il libraio dietro la Camera: “Trovo bellissimo che altre librerie possano riaprire. Se quelle di quartiere riescono a restare aperte e a vendere libri io sono contento per loro”. In effetti la situazione è diversa nei quartieri esterni al centro storico. Delle piccole librerie solo alcune riaprono, ma è rarissimo che i dipendenti vengano tolti dalla cassa integrazione. Le grandi catene, come Arion o Feltrinelli, sembrano aver ritrovato alcuni clienti e le file, fuori dall’entrata e sui marciapiedi, restano costanti. E da quello che raccontano i dipendenti in questi primi giorni di apertura tre tipologie di clienti si sono presentati per lo più nelle librerie: quelli che hanno comprato libri di narrativa per farsi compagnia in questi giorni di quarantena, le mamme con i bambini che, fino a poco fa, non potevano comprare nei supermercati articoli di cartolibreria, come quaderni e pennarelli, perché non considerati beni di prima necessità, e infine la categoria che più di tutte in questi giorni ha dato da fare ai commessi: gli studenti che hanno comprato i libri di testo per gli esami universitari o i manuali per i concorsi pubblici. Ma ogni tanto qualcuno si concede letture più rilassanti, forse per addolcire il momento che stiamo vivendo o a volte, addirittura, per onorare chi ne è caduto vittima: più di qualche cliente, ci spiega un commesso, ha approfittato della riapertura per comprare e leggere un libro di Luis Sepúlveda.

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