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15 milioni in buoni pasto per i romani in difficoltà, ma ci sono problemi

Alessandro Luna

Le prime erogazione forse tra una settimana, i municipi si lamentano con il Campidoglio per l’eccessiva burocrazia

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Roma. Qualche giorno fa, mentre a Napoli e in altre città venivano inaugurati i “cestini” della solidarietà dove lasciare pasta, uova o altri generi alimentari, anche a Roma nel quartiere dell’Alberone le panchine si riempivano di generosi avanzi di qualche spesa al supermercato, lasciati lì perché se ne servissero coloro che, in questi giorni, versano in difficoltà economiche tali da non potere neanche comprare da mangiare. Ma presto si è capito che la lotta alla fame non si poteva lasciare interamente nelle mani della solidarietà spontanea dei cittadini e sono quindi stati destinati 400 milioni di euro dal governo ai comuni italiani, di cui 15 milioni al comune di Roma, con la disposizione che venissero erogati in forma di buoni pasto a chi non è in grado di sostentarsi per via dell’emergenza Covid-19.

 

Il compito di individuare le modalità con cui distribuire questi buoni pasto è stato lasciato ai diversi comuni, ragione per cui il Campidoglio e i Municipi stanno tentando di coordinarsi sia per farli arrivare il prima possibile che per evitare sprechi, intercettando i cosiddetti “furbetti” che potrebbero cercare di accedere a più di quanto non spetti loro. E mentre il sindaco Raggi ha pubblicato sul sito del comune il modulo e le indicazioni per accedere a questi buoni spesa, ci sono alcuni punti che non sono ancora del tutto chiari. Il capogruppo del Pd in Campidoglio, Giulio Pelonzi, ci dice: “Per cominciare, il modulo per richiedere i buoni deve essere compilato online e inviato per mail, il che taglia fuori tutti quelli che non possiedono un computer. Ma soprattutto il meccanismo di rimbalzo tra comune e municipi coinvolge troppa burocrazia e rischia di far arrivare a destinazione gli aiuti molto tardi”.

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Come funziona questo meccanismo ce lo spiega Sabrina Alfonsi, del Pd, la presidente del primo municipio: “I fondi arrivano al comune, i cittadini individuano il proprio municipio di riferimento e inviano la richiesta. Noi dei municipi controlliamo che chi richiede aiuti non sia già in carico ad altri servizi assistenziali e a quel punto gli elenchi “spurgati” tornano al comune che procede all’erogazione. Ma così si perde troppo tempo in troppi passaggi. Perché non dividere direttamente i soldi tra i municipi, che hanno un contatto più diretto con i cittadini?”

 

Monica Lozzi, un’altra presidente di Municipio, il settimo, ma che è invece dell’M5s, ci risponde che “questo sistema è sicuramente un po’ farraginoso, ma se si dessero i soldi ai municipi bisognerebbe fare una variazione di bilancio che rischierebbe di allungare ancora di più il processo”. E la scelta di questo passaggio a tre fasi ci viene spiegato da Andrea Coia, presidente della Commissione Commercio, secondo cui “serve questo doppio controllo perché ai municipi potrebbe sfuggire qualche furbetto. Infatti servizi assistenziali come il Reddito di Cittadinanza non sono di competenza loro. Si rischia, per voler fare più in fretta, di lasciare campo a chi cerca di approfittare di questi aiuti”. Monica Lozzi ha invece qualcosa da ridire sulla distribuzione finale dei buoni: “Certo sarebbe stato più semplice se fosse stata affidata ai municipi il compito di farli arrivare ai cittadini, mentre il Comune ha deciso di centralizzare quest’operazione. Ma sulla scelta di far gestire i fondi direttamente dal Campidoglio sono d’accordo. Se si distribuissero i soldi tra i vari municipi, questi dovrebbero siglare ognuno un contratto diverso con aziende di ticket, mentre il Campidoglio, guadagnando del tempo, ha fatto valere quegli stessi accordi già esistenti per i buoni spesa che usava per i propri dipendenti”. Insomma, si fa a gara a coordinare rapidità ed efficienza.

 

L’ultimo aspetto, però, poco chiaro è quello che riguarda una casella da segnare sul modulo di richiesta dei buoni spesa, in cui si dichiara di non possedere immobili “con esclusione della propria abitazione”. In sostanza chi ha perso il lavoro e si trova in difficoltà rischia o di non poter accedere ai fondi o di venire discriminato in quanto ha priorità se possiede una casa che ha ricevuto in eredità o che, per effetto della quarantena, non può ora più affittare a nessuno.

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