Luciano Nobili. Foto LaPresse

“Con Marino sbagliammo e la città non capì il Pd”

Salvatore Merlo

Parla Nobili, plenipotenziario dem a Roma. Tra autocritica per il passato, ottimismo e nuove mosse su Atac

Roma. “Col senno di poi credo che con Marino sbagliammo”. E Luciano Nobili, plenipotenziario (renziano) del Pd a Roma, è uno dei quattro effigiati nella famosa fotografia del biliardino, assieme a Matteo Orfini, presidente del Pd, Matteo Renzi, segretario e capo del governo, e Luca Lotti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Quella sera di luglio 2015, alla Festa dell’Unità di Roma, venne deciso di dare al sindaco Ignazio Marino un’ultima possibilità, prima di mollarlo, come poi avvenne. “Credo che da quel giorno, e nei mesi a seguire, si sia consumata una frattura con una parte della città”, dice adesso Nobili. “Premetto che non eravamo tutti d’accordo su cosa fare con Marino, e che si trattò di una decisione complicata. Dolorosa. Facile da giudicare dall’esterno. Ma è vero che in città, e anche tra i nostri elettori, non si capì il senso della nostra scelta”.

  

La partita del biliardino segnava un accordo per far continuare la giunta, segnava l’ultimo rimpasto possibile. Poi Marino cadde, si dimise, spinto dal Pd. E le cronache di quei giorni confusi segnalano anche un festeggiamento serale, dopo la caduta del sindaco di centrosinistra, una cena a casa di Lorenza Bonaccorsi a base di riso basmati e vino bianco, cui partecipò, assieme ad altri del gruppo renziano, anche Nobili. Che oggi però fa autocritica. “La sera del biliardino dicemmo che si doveva salvare Marino a tutti i costi. E solo dopo pochi mesi decidemmo invece di mollarlo. Mi rendo conto che in quei giorni non siamo stati comprensibilissimi. Tuttavia va tenuto conto di un fatto, della complicazione del momento, della pressione mediatica, dei troppi pasticci del sindaco. Certo una cosa è indiscutibile, il prezzo del fallimento di Marino lo stiamo pagando ancora oggi”.

  

Ma subito dopo Nobili si arma di eloquenza sicura. “Da quei mesi a oggi il Pd è stato a servizio della città”, dice. “C’è una nuova classe dirigente, giovane, che segna una cesura netta con il passato, con le amministrazioni che hanno portato il nostro partito ad avere 2,5 milioni di debiti. Con tutto quello che ciò comporta, anche in termini di presenza sul territorio: pensate che il Pd a Roma non ha una sede. Eppure siamo in pieno recupero. Abbiamo vinto quattro collegi alle politiche, con Zingaretti siamo il primo partito al 25,5 per cento. Alle amministrative il centrosinistra ha vinto nel III e nell’VIII municipio”.

  

Anche se con due candidati che non erano quelli sostenuti dal Pd alle primarie, cioè Giovanni Caudo e Amedeo Ciaccheri. Risponde allora Nobili: “Ciaccheri e Caudo non erano i candidati del Pd, ma è stato il Pd a voler fare le primarie. E non è poca cosa. Dobbiamo aprirci. La città viene da dieci anni di disastri, da Alemanno a Marino, che pure ha fatto delle cose buone, come le nomine nelle aziende partecipate, fino alla Raggi che appena arrivata ha cacciato via i bravi manager che si occupavano dei trasporti, dell’energia e della nettezza urbana, da Irace a Fortini passando per Rettighieri. A Roma c’è stata una decadenza sotto tutti punti di vista, sociali e politici. Ma il Pd è ripartito. Oggi siamo capaci di fare opposizione su tutti i dossier più importanti in discussione nella politica romana”.

  

Per la verità su Atac il Pd si è diviso, e una posizione univoca non l’ha presa nemmeno sul referendum per la messa a gara del servizio pubblico promosso dai Radicali. “Fino a qualche anno fa sarebbe stato impossibile persino aprire un dibattito nel Pd su Atac”, dice Nobili. “Oggi invece si può. Presenteremo entro l’estate un nostro piano, lo faremo votare agli iscritti, e così decideremo anche che posizione unitaria prendere nei confronti del referendum. Io, come Roberto Giachetti e Walter Tocci, ho persino raccolto le firme a favore del referendum, che non è una privatizzazione ma un sistema per introdurre principio di concorrenza. E’ evidente a tutti che Atac ha bisogno di uno choc. E chi lavora in Atac deve sapere che la strada imboccata da Raggi non tutela i posti di lavoro”. Se fosse rimasto Marino oggi Roma starebbe meglio? “Marino non comunicava, non sapeva valorizzare le cose buone che faceva. E ci portò tutti di fronte a un vicolo cieco”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.