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Un palco per Liliana Segre

Maurizio Crippa

La scorta alla senatrice a vita e l’odio fomentato in città. Storia dell’élite milanese nei palchi della Scala

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Non aveva certo bisogno di scorta, Liliana Segre, nel Ridotto dei palchi della Scala, oggi tra milanesi per bene alla presentazione di una mostra che la storia di quei palchi ricostruisce. Ma della Scala parliamo dopo. Prima tocca parlare del fatto che la senatrice a vita, ex deportata nel campo di concentramento di Auschwitz, dovrà muoversi sotto scorta perché esiste anche un’altra Milano, per quanto minoritaria, che ne contesta con metodi violenti il diritto di parola, cioè di testimonianza. La decisione di assegnare a Liliana Segre una scorta è stata adottata dal prefetto Renato Saccone durante il Comitato per l’ordine pubblico di ieri. Il giorno precedente, davanti alla sede del Municipio 6 dove la senatrice sopravvissuta alla Shoah avrebbe dovuto parlare a un gruppo di studenti, era comparso uno striscione di Forza nuova, il partito neofascista, con scritto: “Sala ordina: l’antifa agisce. Il popolo subisce”. Ma sono una media di duecento i messaggi di insulto o minatori che Segre riceve ogni giorno. Da qui la decisione di assegnarle una protezione. Il pronto commento di Matteo Salvini (“Anche io ricevo minacce, ogni giorno”) – oltre a confermare la coazione a ripetere del segretario leghista, a usare le espressioni sbagliate nel contesto sbagliato e a far sorgere la legittima domanda: ma quando stava al Viminale, che ha fatto? – è però il segnale di altro. In Consiglio regionale martedì è stato bocciato un voto di appoggio alla mozione Segre approvata la scorsa settimana, tra le polemiche, al Parlamento. Niente di male, non fosse che il voto contrario è stato festeggiato con affermazioni di questo genere, “Un NO deciso a qualsiasi tentativo di portare in Consiglio regionale il Catechismo del politicamente corretto”, da parte del consigliere regionale della Lega Max Bastoni, una sorta di controfigura minore dell’agit-prop salvinista, uno che tempo fa in Consiglio comunale di Milano aveva sventolato un crocifisso al grido “il crocifisso ancora oggi rappresenta la nostra storia e la nostra identità” e aveva poi provato ad appenderlo al muro. Uno di quei gesti di difesa della presenza cattolica in politica che tanto piacciono al cardinal Ruini, certo. Ma anche il segno che a Milano, città aliena agli estremismi, c’è qualcuno che soffia sul fuoco per dimostrare la forza di una “contestazione di destra” che invece, nei numeri, non c’è. C’è invece chi svolge il lavoro sporco, e chi ne approfitta politicamente.

 

Nel Ridotto dei palchi della Scala intanto, stamattina è stata presentata una bella mostra (GranMilano ne aveva scritto con anticipo nel giugno scorso), intitolata “Nei Palchi della Scala – Storie milanesi” curata dal regista teatrale “scaligero” Pier Luigi Pizzi con Franco Pulcini (il catalogo è edito da Treccani), che ha partecipato al lavoro di studio storico alla base della piccola ma gustosa esposizione nelle stanze del Museo della Scala. Il lavoro storico consiste nell’aver ricostruito anno dopo anno tutti i nomi dei proprietari del palchi del teatro del Piermarini, dal giorno della sua inaugurazione nel 1778 al 1920 (successivamente la proprietà privata dei palchi fu abolita). Anno per anno, palco per palco. Ne esce un ritratto inedito dell’evoluzione delle élite meneghine, dai tempi dell’aristocrazia e dei “riformatori” illuministi all’ascesa della grande borghesia industriale (molto tessile) e delle famiglie del ceto artistico-intellettuale. Si apre con una celebre citazione di un innamorato di Milano, Stendhal: “Piove, nevica fuori dalla Scala, che importa? Tutta la buona compagnia è riunita in centottanta palchi del teatro”. Si prosegue con un altro grande milanese, diversamente innamorato della sua città, il Gadda dell’Adalgisa: “Dentro, nel sinfoniale di gesso caramellato, era un pissi pissi da non dire: in cicìp e ciciàp, una chiacchiera, un passeraio, di un par di migliaia di passeri e passere, in attesa del loro becchime sviolinativo”. Da oggi fino al 30 maggio 2020.

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Gli happy few erano in Galleria per l’opening night di Moncler House of Genius, che con performance dell’artista Vanessa Beecroft ha inaugurato il nuovo megastore di 800 mq, là dove un tempo c’era l’Urban center, trasferitosi in primavera (e in meno spazio) alla Triennale.

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