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Colori e grigi

Maurizio Crippa

Lo scoppiettante parco di CityLife e la mostra sulle “Navi della speranza” al Memoriale della Shoah

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Mentre tutto luccica ovunque dei colori e delle attrazioni della Design Week e di MiArt, in un luogo votato ai colori grigi ma non effimeri della memoria arrivano fotografie che hanno una forza magnetica che illumina il passato, ma anche getta scintille sul presente.

 

Se avete dei figli (ma anche se non li avete) portateli entro domenica al parco delle sculture di CityLife, che ospita per qualche giorno un’opera-istallazione che è allo stesso tempo un grande giocattolo: si intitola “Sacrilege” ed è una riproduzione in dimensioni naturali del sito archeologico di Stonehenge. Soltanto che l’artista inglese Jeremy Deller l’ha realizzata con i materiali “gonfiabili” dei parchi giochi, su cui i bambini possono scivolare e saltare. L’iniziativa di portarla a Milano, in occasione di MiArt, è stata della Fondazione Nicola Trussardi. La location prescelta, ça va sans dire, è una delle più attrattive e celebrate del momento a Milano. Punta a non essere soltanto uno spazio verde urbano, ma un vero museo all’aperto. Nel parco pubblico di CityLife è visibile da ieri, sempre sfruttando l’occasione di MiArt, una delle opere di street art più grandi del mondo, un murale di mille metri quadrati (il titolo è “W.a.l.l. - Walls Are Love’s Limits”) realizzato dall’artista italiano Eron. Non resterà solo, sarà affiancato a breve da altri lavori “pubblici” di artisti contemporanei italiani come Adrian Paci, Mario Ariò ed Elisabetta Benassi.

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Se avete dei figli, e anche se non li avete, poi però portateli al Memoriale della Shoah, nello scalo merci un tempo e per lungo tempo nascosto nel ventre sotterraneo della Stazione Centrale. Da qui, il 30 gennaio 1944, partì il primo treno diretto ad Auschwitz-Birkenau. In totale furono quindici i convogli, e migliaia i deportati. Questa area “tecnica” della stazione e questi binari di Milano sono il solo luogo di partenza dei treni delle deportazioni ad essere rimasto intatto in Europa. La Fondazione Memoriale della Shoah di Milano da anni lo ha trasformato in qualcosa di più di un museo. Il 10 aprile al Memoriale ha inaugurato una mostra (fino a giugno) che si intitola “Le navi della speranza. Aliya Bet dall’Italia: 1945-1948”. E’ una ricostruzione documentale e fotografica della migrazione ebraica verso la Palestina, allora ancora Protettorato britannico, ma avviata a diventare lo stato di Israele, al termine della Seconda guerra mondiale. Furono oltre 250 mila gli ebrei, in fuga soprattutto dall’Europa orientale, a transitare in Italia, divenuto dopo il 1945 paese di rifugio e soprattutto “Porta di Sion” verso la Terra Promessa. Un viaggio difficile, e non solo per le condizioni logistiche. Tra gli episodi ricostruiti nella mostra c’è ad esempio quello di La Spezia, dove per sei settimane, dall’aprile al maggio 1946, un migliaio di profughi rimase bloccato nel porto e alla fine fece ricorso allo sciopero della fame per poter ottenere dal governo inglese le autorizzazioni per la partenza verso la Palestina. La mostra, curata da Rachel Bonfil in collaborazione con Fiammetta Martegani, è arrivata in Italia dal Museo Eretz Israel, che l’aveva ospitata a Tel Aviv, dove era stata visitata da Sergio Mattarella durante la sua visita. Nel catalogo, Elena Loewenthal la definisce “una storia indimenticabile che, proprio come l’Italia ‘porta di Sion’ si apre davanti agli occhi e al cuore di chi la guarda”. presentandola, Roberto Jarach, il presidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano, ha detto tra le altre cose: “Gli ebrei superstiti della Shoah raggiungevano la Palestina a bordo di piccoli pescherecci; oggi i rifugiati tentano di raggiungere l’Italia su imbarcazioni di fortuna alla ricerca di un futuro migliore. Per questo, la mostra rappresenta un’opportunità per tutti per riflettere su come educarci a combattere l’indifferenza”. Proprio “Indifferenza” è la parola incisa sul grande muro che accoglie i visitatori nel Memoriale.

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