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Le tre guerre europee

Pier Carlo Padoan

Pandemia, recessione e nazionalismi. I veri strumenti di cui l’Ue ha bisogno per uscire più forte dalla tragedia

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Nella lotta contro il coronavirus ci sono tre guerre in atto. La guerra contro il virus vero e proprio. La guerra contro la recessione. La guerra (politica e diplomatica) per un’Europa più forte e più attenta ai suoi cittadini. Non è una novità. Quello che è meno chiaro, nel dibattito intensissimo di questi tempi, è che le tre guerre si intrecciano e si influenzano tra loro. E il progresso su un fronte influenza quello sugli altri fronti. La guerra contro il virus è la guerra più crudele: quella che vede impegnati in prima linea gli operatori sanitari e i sistemi ospedalieri. E’ chiaro che non potremo dichiarare vittoria finché non avremo superato il picco dell’infezione e finché saranno scongiurati casi di infezione di ritorno. Questo rileva per le decisioni di uscita dall’emergenza. Non si può allentare la guardia, vista la velocità di diffusione della pandemia a livello globale. Senza uscita dall’emergenza (dal lockdown in primo luogo) non ci si può concentrare sulla guerra contro la recessione.

 

Ma l’uscita dal lockdown dovrà essere graduale dando priorità ai settori meno esposti alla diffusione del contagio, in cui si possa garantire la salute dei lavoratori e che siano strategici per proteggere le catene del valore. E’ ovvio che tutto ciò richiede informazioni e monitoraggi sulle caratteristiche dei settori e delle imprese. Oltre che risorse adeguate per gestire l’emergenza di imprese e famiglie che dovessero continuare a essere coinvolte nel lockdown.

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Il progresso verso l’uscita dal lockdown servirà a rafforzare la guerra contro la recessione, cioè minimizzarne l’intensità ed evitare che una sua durata prolungata la trasformi in stagnazione. Ma servirà anche a rafforzare la guerra contro il virus nella misura in cui permetterà di alleviare la pressione sul sistema sanitario. La guerra contro la recessione sarà presumibilmente lunga. Le stime degli economisti sembrano accordarsi su una recessione a V, cioè di rapida ripresa dopo la caduta: ma l’intensità delle stime della caduta e della sua durata sono assai variabili. Soprattutto è importante che la recessione non perduri nel tempo rischiando di provocare danni irreparabili alle catene del valore.

 

Evitare che la recessione a V si trasformi in stagnazione richiede ingenti risorse sia per gli interventi di emergenza sia per quelli di lungo periodo. L’Italia uscirà dalla emergenza coronavirus con il suo antico dilemma ancora in piedi. Troppo debito e poca crescita. ll debito aumenterà significativamente per gli impegni di bilancio generati dall’emergenza. E’ importante che cominci a scendere appena possibile. Ciò richiede un tasso di interesse basso e un tasso di crescita alto. Al primo ci penserà per un po la Bce. Al secondo dovremo pensarci soprattutto noi.

 

Servirà riprendere in mano l’agenda strutturale che la crisi ha fatto mettere da parte. E’ qui che entra in gioco il rapporto con l’Europa. Occorre battersi per una strategia europea che sia quadro di riferimento per una crescita “green”, sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale e della salute dei cittadini. E’ con questa logica in mente che bisogna chiedersi “cosa può fare l’Europa” e vincere la guerra politica e diplomatica sul suo futuro. La risposta va cercata prima chiarendo quali debbano essere gli obiettivi (la crescita sostenibile, i beni pubblici come la salute, la sicurezza e la difesa) e poi chiedersi quali siano gli strumenti. Così che ogni strumento sia pensato per effettuare una “mission”. L’Europa ha bisogno di molti strumenti perché diverse sono le mission che deve (dovrebbe) portare a termine. E l’Europa sta dimostrando di essere disponibile a rivedere i suoi strumenti per rafforzarli, dalla Bei al bilancio dell’Unione (forse il Mes). Ma anche a crearne di nuovi come il Sure, il meccanismo di emergenza al sostegno dell’occupazione. Questo dimostra che, una volta chiarite le mission sarebbe più facile trovare l’accordo politico con quanti temono che i paesi del sud vogliano, surrettiziamente, chiedere la mutualizzazione del loro debito. Da questo punto di vista inoltre, stupisce, ma solo fino a un certo punto, la reazione di chi ritiene Sure insufficiente o addirittura un “imbroglio”.

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Le tre guerre si vincono o si perdono insieme. La guerra contro la pandemia si vince se si pianificano con saggezza e prudenza le uscite dal lockdown e si rafforza il settore sanitario. Questo richiede (anche) più investimenti che quindi comportano un impatto positivo sull’economia. Anche per questo la guerra contro la recessione si vince se, una volta affrontata l’emergenza e avviato il ritorno alla normalità, si impegnano risorse per la crescita sostenibile. E, infine, la crescita sostenibile non può che essere di dimensione europea. E europee devono essere le risposte. Forse il clima sta cambiando. Forse qualche lezione, in questo senso, il coronavirus ce la può dare a tutti.

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