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preghiera

Antonio Franchini mostra tutta la vanità dello scrivere libri

Camillo Langone

In "Leggere possedere vendere bruciare" lo scrittore contemporaneo viene rivelato nella sua miseria ed eccolo: un poveretto, un coatto. Proprio nulla di cui vantarsi sebbene sui social milioni di vanesi si definiscano pomposamente "author"

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“Leggere possedere vendere bruciare” di Antonio Franchini (Marsilio) è libro prezioso e disperante. L’autore è funzionario editoriale di lungo corso, pertanto disilluso, e vi mostra la vanità dello scrivere libri. Vanità nel senso dell’Ecclesiaste: “Tutto è vanità e un correre dietro al vento”. Da quando la memoria del lettore si è accorciata, uno scrittore non può più nemmeno sperare nella gloria postuma: “Dopo la morte di uno scrittore allora cominciava il processo di canonizzazione, oggi comincia l’oblio” (e qui Franchini giustamente cita Bevilacqua, il caro Albertone, e Sgorlon). Potente, nella sua desolazione, la definizione di scrittura: “Un chiuso bisogno, una necessità istintiva, dolorosa, irriflessa”. Qualcosa che somiglia alla masturbazione, però spiacevole. Proprio nulla di cui vantarsi sebbene sui social milioni di vanesi si definiscano pomposamente “author”. In “Leggere possedere vendere bruciare” lo scrittore contemporaneo viene rivelato nella sua miseria ed eccolo: un poveretto, un coatto. Sarò così anch’io? mi domando. L’ennesimo componente di una schiera di infelici? Ciò che faccio ha un senso esterno alla mia temporanea persona? Sia letto e non bruciato, questo libro di Antonio Franchini.

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