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preghiera

Altro che green pass, Trieste sia ricordata come la città del caffelatte

Camillo Langone

È proprio un cappuccino, ne ha tutte le caratteristiche compresa la schiumetta, epperò si chiama caffelatte (con una L) e colpisce che tale peculiarità sia sopravvissuta a mescolanza etnica, irruzione turistica, appiattimento mediatico. Che bella l’ostinazione lessicale, segno di orgoglio

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Oltre che capitale della protesta anticovidista, Trieste sia considerata città del caffelatte. Ogni volta che torno nell’amata città alabardata scopro qualche dettaglio commovente, stavolta è il nome del cappuccino che qui si chiama caffelatte, vecchia bellissima parola, materna, dolce, famigliare. Il caffelatte triestino è proprio un cappuccino, ne ha tutte le caratteristiche compresa la schiumetta, epperò si chiama caffelatte (con una L) e colpisce che tale peculiarità sia sopravvissuta a mescolanza etnica, irruzione turistica, appiattimento mediatico. Amo l’ostinazione lessicale, segno di orgoglio. Però bisogna trovare il posto giusto per goderselo, il caffelatte. L’ho bevuto in alcuni dei caffè storici più famosi, che sconsiglio vivamente a chi non voglia sperimentare la locuzione latina “stat magni nominis umbra”. Ero piuttosto giù di morale quando sono arrivato (dritta del filosofo morale Pierpaolo Marrone) al Caffè Torinese, antico ma ai forestieri evidentemente ignoto, in corso Italia. Ora prego che sia per un po’ di anni il caffè del mio caffelatte. 

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