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Preghiera

"L'arte contemporanea odia l'umano"

Camillo Langone

Inchiniamoci dinanzi all'illuminante definizione offerta da Angelo Crespi. E per l'esatta collocazione dei vari Cattelan e Weiwei in una "super religione dell'arte"

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Sia inserito Angelo Crespi nel novero dei maestri dopo l’ultimo libro, “Nostalgia della bellezza” (Giubilei Regnani). Non per la copertina (ehm), non per gli artisti citati come eccezioni positive (io ho un’altra lista), ma per l’illuminante definizione di arte contemporanea: “Non l’arte che ci è coeva, bensì uno stile che ha strettamente a che fare con l’arte concettuale, in cui si predilige il concetto all’opera”. Per la coraggiosa osservazione: “Non siamo noi a odiare l’arte contemporanea, è l’arte contemporanea che odia noi. Anzi, l’arte contemporanea odia l’arte e talvolta odia sé stessa. Precisamente, odia l’umano”.

 

Per l’esatta collocazione dei vari Cattelan, Fischer, Abramovic, Gelitin, Weiwei, McCarthy in una “super religione dell’arte” a cui il nichilismo di massa “affida una primazia etica, un sacerdotale mandato di sconfinamento, in sostanza il superomistico compito di mettere in discussione i valori costituiti”. Infine per l’identificazione del rimedio: “I pittori sono degli anacoreti che nella solitudine compongono per la salvezza, loro e nostra”.

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