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Il libro di Garboli e gli antenati dimenticati

Camillo Langone
E' il culto dei morti che ci fa uomini (gli animali non lo praticano) ed è molto umanizzante Adelphi che pubblica una raccolta di testi di Cesare Garboli (“La gioia della partita”).
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E' il culto dei morti che ci fa uomini (gli animali non lo praticano) ed è molto umanizzante Adelphi che pubblica una raccolta di testi di Cesare Garboli (“La gioia della partita”), letterato di quando era viva la società letteraria, di quando erano vive perfino le riviste letterarie. Garboli è morto nel 2004, non tantissimi anni fa, eppure la sua voce mi sembra venire dal 1954 e questo, si badi, è un complimento: l’attualità è angosciante, alla letteratura chiedo di calmarmi il cuore come lo chiedo alle gocce di biancospino. Dal 1954 o addirittura dal 1904 visto che il testo più bello è dedicato ad Annie Vivanti, scrittrice Belle Époque che fu amante di Carducci. E’ un ritratto vivo e sorprendente: pensavo la Vivanti un’approfittatrice, per la grande differenza d’età col grande poeta, un’arrampicatrice, per la prefazione carducciana al suo libro di esordio, e invece la scopro tenera, accorata, donna di cui era giusto (non solo inevitabile) innamorarsi. Mi è venuta voglia di leggerla, mi è venuta voglia di leggere Carducci, mi è passata la tentazione di leggere qualche libro ora in classifica, di quelli che di lettori ne hanno fin troppi, e ho deciso di rendere onore a questi antenati dimenticati. Lode a Garboli.
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