
Il racconto
La giara di Draghi. Premi, inviti, citazioni, le conferenze, ma il Quirinale resta la sua luna
Premiato all'Ispi, non accetta incarichi, che non sono alla sua altezza, diserta appuntamenti, gira il mondo con il report, non adula Meloni. Nessun libro, la sua fama è la sua trappola
Mario Draghi è finito nella giara. La giara di Draghi, una novella. Gli amici dell’ex presidente: “Lo inondano di inviti e premi. Lo premia la Spagna, premio Carlo V, lo premia l’America, premio Miriam Pozen, domenica andrà in Francia, al Cepr. Ormai ha uno scaffale di premi”. Interno casa Draghi, a Milano. La moglie, Serenella: “Dove vai?”. Il marito: “All’Ispi, oggi mi premiano”. Gli arcinemici: “Vada a guardare il Corriere a pagina 12. Vedrà lui, il suo faccione. Gli hanno consegnato un altro premio, Premio Ispi 2024. Ne ha una collezione, chissà la polvere”. Chi gli vuol bene dice: “Qualsiasi incarico è adesso troppo piccolo per lui, ma essendo il grande Draghi, al mondo non resta che celebrarlo. Se ti chiami Draghi o fai il papa o resti Draghi”. Per Pirandello era la trappola.
I capelli più corti, il viso disteso. La moglie di Draghi, la tenera Serenella, dicono che si sia rassegnata: “Ma parti ancora?”. L’arcinemico che è l’unico che gli ha davvero voluto bene, a suo modo, come nella novella di Pirandello, i “Due Compari”, come Giglione e Butticè, dice: “Ma lei si ricorda il treno per Kyiv? La foto che fece la storia, Draghi, Macron e Scholz, e tutti a sperticarsi di lodi? Il treno che salva l’Europa? Bene. Macron sta messo come sta messo, il tedesco Scholz, lasciamo perdere, e Draghi, beh, Draghi ha scritto il report sul futuro della competitività dell’Unione e lo presenta come un disco. Ursula von der Leyen lo porta in borsa, lo cita. Ma nulla più. Poi ci sono le conferenze pagate ma anche quelle gli avrebbero dato a noia”. Lunedì sera, Draghi è salito sul palco del premio Ispi, intervistato da Sarah Varetto, e ha dichiarato che la leadership di “Francia e Germania si è indebolita ma non vedo altri leader”. Gli uomini del governo Meloni hanno subito risposto: “Peccato. Ha perso un’occasione per dire che l’unica è Giorgia, incoronata da Politico come la persona più potente d’Europa”. Uno dei ministri del governo Draghi: “E perché mai avrebbe dovuto dirlo? Evidentemente non lo pensa. Con Meloni non è ostile ma neppure allineato”. Vive ancora a Milano, come un anno fa.
La squadra che lo ha seguito a Chigi, preoccupata, chiede: “Vi prego, basta pezzi sulla noia. Draghi è sereno, felice. Non ripetetevi”. L’arcinemico: “Sarà felice, sicuro, ma parliamoci chiaro. Gentiloni sta per andare all’Onu, Romano Prodi fa il professore in Cina. Certo, se solo Draghi fosse andato al Quirinale… E poi che significa la ripetizione? La vita stessa si ripete. Il problema di Draghi sa qual è? Non può ripetersi come Niccolò Paganini, ma chi non ripete, il genio, soffre. Nulla gli basterà più”. Gli hanno suggerito: “Presidente, scriva un libro, sarebbe il testo del secolo”. E lui, il presidente, per un attimo ci avrebbe pensato, poi, alla sola idea di presentarlo, di andare in giro per librerie, essere avvicinato, avrebbe chiuso gli occhi e detto che forse non è il caso. Il 28 ottobre, alla Camera, l’Associazione donne giuriste lo ha inserito tra i relatori e i giornalisti si sono chiesti: “Ma davvero torna alla Camera?”.
L’ufficio stampa poche ore prima dell’evento avvisava: “Non ci sarà. Ci dispiace”. Il 22 novembre un altro suo intervento previsto all’Università Pontificia è saltato. L’Università: “No, il professor Draghi non viene”. E allora perché lasciava inserire il suo nome tra i partecipanti? Quando è stato presentato il suo report, Elly Schlein lo ha chiamato per chiedergli: “Professore, ci vediamo? Voglio parlarle”. Draghi le avrebbe risposto che sarebbe stato un piacere ma che i viaggi, le conferenze, sa … La frase sarebbe stata pronunciata con l’amabilità e la cortesia di chi non vuole sottrarsi, anzi, ma con il respiro profondo di chi pensa: “Certo, che ci vediamo ma non subito”. I più audaci hanno provato a prenderla da lontano, a chiedergli se ci fosse incarico alla sua altezza, ma Draghi taceva. Nulla. I giornali che iniziarono a scrivere che era in gara per la Commissione, impossibile, o per il Consiglio d’Europa, possibile, li leggeva e naturalmente non smentiva perché le fantasie non si smentiscono, avrebbe detto il premier Draghi. Ai collaboratori raccomandava: “Con dolcezza gli dica di tenere a freno la fantasia”. Ma che volesse andare al Quirinale era una fantasia? L’arcinemico: “Ma lo sanno tutti che lo desiderava, e lo desidera, e non c’è nulla di male, anche solo per dire alla moglie: hai visto? Sacrifici ne abbiamo fatti, ma cosa c’è di più bello che fare il presidente degli italiani?”. Sul palco dell’Ispi, Draghi ha detto che solo “chi passa dalle elezioni riceve la legittimazione dei cittadini” e che questo “dà forza e scopo al suo mandato”. Ma qual è il suo? Senza scopo resta imprigionato nella sua giara a guardare il Quirinale, la sua luna, come Zi’ Dima, il conciabrocche di Pirandello. Quando capì che non avrebbe mai battuto Don Lollò, solo con la sua sapienza, iniziò a cantare, anche lui, a squarciagola insieme ai contadini ubriachi. Da conciabrocche si fece contadino e fu così che “la giara andò a spaccarsi contro un olivo”.