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il colloquio
La sinistra controvento di Flores d'Arcais, deluso da tutti. Intervista
Schlein dadaista. L’antiberlusconismo che fu e i pericoli d’oggi: il filo islamismo, il filo putinismo. Parla il direttore che lascia dopo 38 anni MicroMega
Elly Schlein? “Spesso mi sembra dadaista, per farle un complimento”. Conte? “Ha realizzato in chiave democristiana il qualunquismo di Grillo”. La sinistra? “Mi preoccupa l’ondata filoislamica che ha subito”. La Palestina? “E’ necessario liberarla da Hamas, non solo da Netanyahu”. La pace? “Non può essere un premio per Putin”. Il movimento Lgbtq+? “Sono un maschio bianco eterosessuale, ma non per questo sono un oppressore”. Eccolo Paolo Flores d’Arcais, filosofo, saggista, una vita nella sinistra a sinistra dei partiti ufficiali, ma anche di traverso, di lato, contro. Pillole di una lunga conversazione col Foglio.
Perché, dopo trentotto anni e mezzo, lascia a Cinzia Sciuto la direzione di MicroMega, rivista della sinistra girotondina, antiberlusconiana. Lo saluta, sprezzante, Filippo Facci, sul Giornale: “Cattivo maestro di un esercito di forcaioli”. Risponde Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera. “No, il suo radicalismo merita rispetto”. L’estremismo e la faziosità fanno parte della più nobile tradizione intellettuale italiana, dice della Loggia, “ed è giusto contrastarli, ma non schernirli”. Per questo lo cerchiamo, Flores d’Arcais, ottant’anni compiuti a luglio, e un bilancio da fare, nell’ultimo numero che uscirà a sua firma, specialissimo, con settanta interventi di grandi nomi, il 23 settembre.
“Ho solo un rimpianto”, dice. “Non aver trasformato il movimento dei girotondi in una forza politica organizzata”. Lui, Pancho Pardi e lo strano leader, Nanni Moretti, avevano portato in piazza contro Berlusconi (ma anche D’Alema) una marea di persone, nel settembre del 2002. “Senza una struttura politica, però, quell’energia sociale enorme non solo si disperse, ma si inquinò, andando a ingrossare il mare del qualunquismo, da cui venne fuori il movimento del Vaffa di Beppe Grillo”. In realtà c’è un’obiezione: ovvero, che le parole d’ordine anti inciucio di Flores d’Arcais e compagni hanno contribuito ad allevare la bestia antipolitica. “No”, risponde, “i girotondi non hanno niente a che fare con Grillo. C’è anzi una distanza siderale tra i valori del nostro azionismo di massa e il Movimento 5 stelle. Cosa mai possono avere in comune Gobetti, i fratelli Rosselli, Calamandrei e Grillo o Giuseppe Conte; la sinistra della libertà e dell’uguaglianza e l’idea che si possa governare prima con la Lega, poi con il Pd, firmare i decreti sicurezza e poi entrare nel campo progressista come se niente fosse?”.
Invece, Elly Schlein? “Non ha nessuna familiarità con la cultura azionista”. Ma se è tutto un invocare i diritti e il salario minimo, lavoro e dignità? “Qualche chiacchiera, ma nessuna azione politica. Non solo: spesso, ascoltandola, si ha l’impressione di assistere a una performance dadaista. Di poverissima qualità, sia chiaro. Aggira i problemi, i piedi in quattro scarpe”. Vien qui fuori un tratto di Flores d’Arcais assai polemico con la sinistra ufficiale. A suo avviso prigioniera di dogmi pericolosi, e su materie piuttosto serie, come, per esempio, il rapporto con l’islam. “Sono incredulo di fronte all’ondata di filo-islamismo che vedo crescere nella sinistra. In Francia, dove l’islamismo uccide, la questione ha tratti criminali, oltre a essere smaccata. Ma anche in Italia non si scherza”.
Il punto Flores d’Arcais lo centra raccontando un aneddoto. “Anni fa, ebbi un confronto pubblico con Tariq Ramadan. Era la star dell’islam democratico. Fece un discorso seducente per le orecchie di una platea progressista europea. Al che io risposi leggendo il testo di un intervento rivolto al mondo arabo-musulmano. Era di tutt’altro tenore. Invocava la legge coranica, rifiutava la laicità, demonizzava il moderno. Era questo il suo trucco: integralista con i musulmani, democratico in occidente. Mi limitai a citarlo e lui s’infuriò. Ma il pubblico, chiaramente di sinistra, per almeno i due terzi stava dalla sua parte. E sa perché?”. No. Me lo dica. “Perché nella testa di troppe persone di sinistra si è innestato questo schema: musulmano uguale oppresso, emarginato, dunque buono. Poco importa se l’oppresso coltiva l’ambizione di un’oppressione ancora più brutale”.
Sostiene Paolo Flores d’Arcais che è tutta colpa di un nuovo dispositivo culturale. “La politica identitaria”, la chiama. “Quella per cui chiunque sia un maschio bianco eterosessuale, viene iscritto d’ufficio al branco degli oppressori, perché i maschi nella storia hanno oppresso le donne, i bianchi i neri, gli eterosessuali i diversi. Eppure era bianco maschio eterosessuale Berlusconi, come lo sono io che con lui non ho avuto mai nulla in comune”. Aggiunge a scanso di equivoci: “Le battaglie del movimento LGBTQ+ sono sacrosante, quando chiedono di allargare i propri diritti”. Il problema inizia quando si assolutizzano alcuni schemi, fissando la realtà dentro categorie rigide. “Di qualsiasi colore creda di essere, la politica identitaria è sempre una politica reazionaria”.
Dice Flores d’Arcais che la forza di questo nuovo paradigma arriva fin nel medio oriente, dove infuria la guerra tra Israele e i suoi vicini. “Io penso che Netanyahu, con gli orrendi massacri di Gaza, stia distruggendo anche Israele, il sogno dei suoi padri fondatori. Ma contro di lui c’è anche una società civile plurale, Grossman in testa, che scende in piazza. Mentre dall’altra parte cosa c’è? Una potente organizzazione terroristica – Hamas – che vuole imporre la sharia “dal fiume al mare”, che impicca gli omosessuali, lapida le donne adultere, butta giù dai palazzi gli oppositori politici, non solo quelli degli altri partiti, ma anche quelli interni”. Cosa vuol dire con questo? “Che Hamas è il nemico assoluto di qualsiasi democratico. Tanto più se di sinistra”. E pensa che non sia abbastanza chiaro, né a Conte né a Schlein? “A Conte no di sicuro. A Schlein un giorno sì e l’altro no. Il paradigma de-coloniale funziona in questo modo: essendo Hamas un partito che lotta contro un’occupazione, si tende a minimizzare ciò che fa e intende fare”. Invece? “Chiunque abbia a cuore la causa del popolo palestinese, dovrebbe sapere che è imprescindibile anche la sua liberazione da Hamas. Altrimenti, i palestinesi passeranno dall’occupazione a un’oppressione ancora peggiore”.
Arriviamo così alla pace, a Putin, all’Ucraina. “Non penso che la pace sia un valore in sé, da proteggere a ogni costo”. A sinistra (ma, certo, non solo) c’è una particolare sensibilità a trattare con Putin. “Ed è avvilente. Perché la sinistra è quella che ha organizzato le brigate internazionali per difendere la Repubblica spagnola dal fascismo di Franco. Durante la guerra in Vietnam, il Partito comunista parlava di una generica pace. Noi, invece, da sinistra lo contestavamo urlando: ‘Vietcong vince perché spara’. Non dimenticando la sottoscrizione di Lotta Continua “armi al Mir” contro Pinochet. La verità è che i governi occidentali hanno dato poche armi all’Ucraina, e con il contagocce. In più, vincolando l’uso di queste armi. Come si fa a essere così ciechi? Ci troviamo di fronte a un gigantesco paese, retto da una sanguinaria autocrazia, che ne invade uno piccolo, governato democraticamente. Come fa la sinistra a non aver chiaro da che parte stare? Penso che se i governi occidentali avessero dato subito a Zelensky le armi che chiedeva la guerra sarebbe finita da tempo. Risparmiando migliaia di vite”.
