Urbano Cairo - foto Ansa

l'editoriale del direttore

I numeri di Cairo, Sky e Discovery e quelli di Mps. E l'editoria di Adelphi

Claudio Cerasa

Quella del 2024 è la fantastica estate del Terzo polo. E no, non quello che ha a che fare con la politica (che noia). Ma qualcosa in questo agosto rovente potrebbe accadere nelle tv, nell'editoria e nelle banche

È l’estate del Terzo polo, ma non è quello che immaginate. È l’estate della terza opzione, ma non è quella che sospettate. È l’estate della sfida al bipolarismo, ma questa volta la politica non c’entra. C’è stato un tempo in cui quando si ragionava di Terzo polo, sotto l’ombrellone, si rifletteva, con toni più o meno seri, con trasporto più o meno accentuato, della possibilità che nel mondo dei partiti potesse maturare qualcosa di simile a un’offerta terza, in grado di competere contro i due poli tradizionali. L’estate del 2024, però, non verrà ricordata per il chiacchiericcio attorno a quello scenario, che esiste ancora oggi ma che vive in mondi diversi, in letti separati, con un pezzo di Terzo polo che ha traslocato nel centrosinistra, attorno a Matteo Renzi, e un pezzo di Terzo polo che è rimasto al centro, senza scegliere da che parte stare. Ma verrà probabilmente ricordata per alcuni chiacchiericci che vertono su temi diversi, all’interno dei quali la politica c’entra fino a un certo punto. È l’estate del Terzo Polo, questa, non per tutto quello che ruota attorno alla politica ma per tutto quello che si muove di fronte alla politica e i terreni che vale la pena studiare sono tre e sono tutti succulenti. Il primo terreno da studiare riguarda uno scenario fantapolitico che potremmo mettere giù così in modo brutale: la possibilità che in Italia nasca un solido terzo polo televisivo.
 

I protagonisti di questa storia, lo avrete già capito, sono La7 di Urbano Cairo, il canale 8 di Sky, il Nove di Discovery. I protagonisti di questa storia, sentiti dal Foglio, smentiscono che vi siano lavori in corso ma i vertici aziendali dei loro competitor, da Mediaset alla Rai, sospettano che qualcosa si stia muovendo, temono che le strade fra i tre si possano incrociare, credono che pur senza un accordo strutturato i tre canali possano iniziare a muoversi costruendo palinsesti non competitivi tra loro e considerano un’opzione quasi inevitabile la possibilità che vi sia una convergenza fra le tre reti. I numeri di Discovery sono noti, sono in crescita, sono numeri che suggeriscono alla casa madre, che pure nel mondo ha qualche problema di performance, di scommettere sul mercato italiano, uno dei pochi in Europa a portare i suoi frutti, e non ci vuole molto a capire cosa significherebbe per gli avversari unire i numeri di Discovery (la cui media del canale nel 2024 è stata del 2,3 per cento nelle 24 ore e del 3,4 per cento in prima serata, con percentuali di crescita rispettivamente del 30 e del 63 per cento sul 2023) con quelli dei possibili partner. Numeri per capire di cosa stiamo parlando.
 

Nel primo trimestre 2024, WB/Discovery con circa 800 mila spettatori giornalieri ha mostrato una crescita del 15,3 per cento su base annua, Comcast-Sky (i cui ascolti sono intorno ai 640 mila spettatori giornalieri) ha fatto segnare rispetto al 2023 un aumento dell’1,1 per cento, mentre Cairo Communication/La7 è cresciuta dell’8,6 per cento passando da 340 a 360 mila telespettatori circa. Numeri da circa 1,8 milioni di telespettatori al giorno, la metà della Rai (3,46 milioni) e di Mediaset (3,35 milioni) ma numeri da terzo polo vero. Fantapolitica o realtà? La seconda storia da sballo riguarda le traiettorie di un altro terzo polo editoriale, che non ha a che fare con la televisione ma ha a che fare con i libri. Al contrario del possibile terzo polo televisivo sul terreno di gioco, qui, ci sono molti sassolini lasciati dai protagonisti della storia e al centro di tutto vi sono delle manovre più che esplicite intorno a una casa editrice iconica: Adelphi.
 

La scorsa settimana, il 2 agosto, il Gruppo Mondadori ha sottoscritto con Josephine Calasso, “reciproche opzioni di acquisto e vendita” relative a una quota pari al 10 per cento del capitale sociale di Adelphi Edizioni di cui Calasso è detentrice di una partecipazione complessiva del 23,88 per cento, con opzioni esercitabili a decorrere dal maggio 2027. Secondo Mondadori, il prezzo di esercizio dell’operazione “riflette un equity value per il 100 per cento di Adelphi che è pari a 50 milioni di euro”. Si dirà, che c’entra questa mossa con il terzo polo dell’editoria? C’entra perché la mossa di Mondadori arriva non molti mesi dopo un’altra mossa fatta sempre su Adelphi da Feltrinelli, che ad aprile aveva acquistato il 10 per cento di Adelphi andando a pescare dalla quota appartenente agli eredi dell’antropologo Francesco Pellizzi, storico socio di Adelphi. Non è chiaro al mercato cosa ci potrebbe fare Mondadori con Adelphi, e con questa quota, considerando che a nessuno dei nuovi azionisti di Adelphi è stato concesso un diritto di prelazione su altre azioni, ma è chiaro invece cosa potrebbe capitare qualora la strada di Adelphi dovesse incrociarsi con quella di Feltrinelli. Nel mercato editoriale dei libri Mondadori, come ricordato pochi giorni fa da Italia Oggi, ha una quota di mercato pari al 27,7 per cento. Gruppo editoriale Mauri-Spagnol (Gems) ha il 10,1 per cento. Giunti ha il 7,4 per cento. Feltrinelli ha il 7,2 per cento. E se sommasse a questa quota il 2 per cento di Adelphi diventerebbe il vero terzo polo del mondo editoriale italiano, trasformando quel punto di arrivo in un possibile trampolino per espandersi in altri contesti editoriali (Carlo Feltrinelli, presidente del gruppo Feltrinelli, coltiva da sempre ambizioni editoriali non solo nel mondo dei libri ma anche nel mondo dei giornali). Fantapolitica o realtà? Chissà.
 

Il terzo fronte da monitorare con attenzione nei prossimi mesi, subito dopo l’estate, e a maggior ragione se le borse dovessero spingere verso il basso i titoli di Piazza Affari, e a maggior ragione se i tassi dovessero scendere, perché un conto è fare profitti con i tassi alti, come oggi, un altro è farli con i tassi bassi, è il fronte bancario. E anche qui, come nel mondo editoriale, le prove generali di Terzo polo sono qualcosa in più di una suggestione estiva. Tutto ruota attorno al futuro di una delle banche più complicate d’Italia, Mps, Monte dei Paschi di Siena. Tutto ruota attorno a una promessa scritta nero su bianco, nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza e nella legge di Bilancio dal ministro Giancarlo Giorgetti alla fine del 2023, ovverosia che la privatizzazione del 64 per cento di Mps detenuto dallo stato debba avvenire entro il 2024. E tutto ruota attorno a tre protagonisti che nel silenzio stanno studiando il dossier Mps per ragioni diverse. Il primo protagonista della storia è il numero uno di Unicredit, Andrea Orcel, che ha confidato ad alcuni amici l’intenzione di valutare la riapertura di un capitolo chiuso traumaticamente nel 2021, ai tempi del governo Draghi, quando Unicredit per alcuni mesi, a partire da luglio, gestì in esclusiva il dossier Mps, per studiare una fusione, salvo poi tirarsi indietro, nell’ottobre del 2021, in modo inaspettato e creando una ferita non ancora rimarginata con le strutture del Mef. Tre anni dopo e con ottimi numeri alle spalle (nell’ottobre 2021 una azione Unicredit valeva 11,53 euro, oggi ne vale 32,76), il dossier Mps, insieme ad altri, è tornato sul tavolo dell’ad di Unicredit, anche se la capacità della banca di Siena di creare valore è inferiore rispetto al passato (nel primo semestre del 2024 Mps ha registrato ricavi complessivi per 2.031 milioni di euro, in aumento del 9,7 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ma rispetto all’ottobre del 2021 le azioni sono crollate: tre anni fa valevano 22,7 euro, oggi 4,65 euro). L’opzione Unicredit, per Mps, è difficile ma non fuori dal mondo.
 

Ma il possibile interesse di Unicredit per Mps potrebbe avere l’effetto di spingere un altro gruppo importante, come Unipol, a muovere un passo per accelerare una strategia che da mesi è alla luce del sole: essere i veri pivot del terzo polo bancario. Unipol, come è noto ha il 24,6 per cento di Bper, ha il 19,7 della Popolare di Sondrio e attraverso il controllo di Bper ha anche voce in capitolo nelle scelte di Carige, controllata da Bper con il 79 per cento. Carlo Cimbri, presidente di Unipol, non fa mistero di considerare questa operazione come necessaria, oltre che possibile, e intravede già una strada possibile per dar vita all’operazione: un aumento di capitale in Bper, per avere la liquidità necessaria per portare avanti la scalata, e la differenza da pagare con azioni Bper agli azionisti di Mps, con l’obiettivo di arrivare al 51 per cento della banca di Siena. Il mercato da tempo crede a questa opzione – anche se molti osservatori, a proposito di terzo polo, suggeriscono da mesi una strada diversa, quella della fusione con Bpm – e negli ultimi sei mesi le azioni del polo di Unipol, prima della frenata globale di lunedì 5 agosto e martedì 6 agosto, sono lievitate in modo esponenziale: negli ultimi sei mesi, Bper è cresciuta del 32 per cento e Unipol è cresciuta del 51 per cento.
 

La strada dunque è quella ed è la stessa strada, o meglio lo stesso bivio, che si intravede nelle altre partite: rafforzamento del bipolarismo bancario e rafforzamento delle prospettive del terzo polo? In politica, la prima strada ha prevalso sulla seconda. Chissà se il mercato riuscirà a stupirci ancora una volta. Viva l’estate del terzo polo, ma quello vero.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.