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l'intervista

“Meloni passi dai fedelissimi ai competenti, allargando la classe dirigente”. Parla Minoli

Luca Roberto

Lo storico giornalista e dirigente Rai: "La premier è molto più del suo partito. Ma adesso, per durare a lungo, deve aprire FdI, attraendo il ceto produttivo. La Rai? Scelga figure all'altezza"

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“Se da leader di partito Giorgia Meloni vuole trasformarsi in una statista europea, una specie di nuova Merkel, allora deve allargare, coinvolgere personalità nuove, competenti. Siglando patti sulla base della lealtà, non della fedeltà. Un allargamento che s’è già visto in Basilicata”. Dal salotto della sua abitazione nel centro di Roma, Giovanni Minoli riflette su cos’è diventato il melonismo a un anno e mezzo dalla nascita del governo. Ma soprattutto, su cosa può diventare di qui a venire. “Le europee saranno uno spartiacque per la premier. Dovrà essere in grado di passare a una nuova fase”, dice al Foglio uno dei più noti giornalisti televisivi. “E se c’è una metafora che ben evidenzia la necessità di andare oltre la fedeltà, quella è sicuramente la gestione della Rai”.

 

Minoli colloquia a braccio con il Foglio per oltre un’ora. E nella sua analisi parte dalla tv di stato perché “parlo soprattutto delle materie che conosco bene, da vicino”, dice. Questo storico dirigente televisivo crede che la vicenda che riguarda la Rai sia piuttosto eloquente di un modus operandi che andrebbe dismesso, accantonato per sempre. “Fin qui hanno fatto un esperimento tutto basato sulla fedeltà. E si può dire che è stato un grande fallimento”, spiega. “Questo perché si sono affidati a personalità che la televisione la conoscono poco. Non sono partiti rispondendo alla domanda ‘a cosa serve il servizio pubblico nell’epoca dei social e della multimedialità’, ma pensando che tutto si potesse risolvere attraverso l’appartenenza. E così Meloni si è trovata coinvolta in casi come quello della censura a Scurati che evidenziano una gestione imbarazzante da parte dell’azienda”. Di qui la necessità, analizza l’inventore e conduttore di "Mixer," di “Un posto al Sole” all’epoca della direzione di Rai 3, di “allargare, parlare a figure professionali con cui stringere patti basati su una lealtà vera e verificabile, che possano apportare competenze. Anche perché, quando si parla di televisione, vale quello che diceva Aldo Moro: la Rai è lo specchio del paese. Se va male vuol dire che vanno male le cose in generale”.
Tornando alla politica, secondo Minoli l’allargamento della classe dirigente meloniana sarebbe propizio alla costruzione “di un grande partito conservatore europeo, espressione di una destra riformista. Io non so bene cosa sia Fratelli d’Italia in questo momento. Ma so per certo che è molto meno della Meloni. O meglio, è la Meloni che è molto più del suo partito. E’ come se fosse isolata. Ma le grandi cose non si fanno da soli, senza dei compagni di viaggio adeguati”.

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La congiuntura storica, poi, sarebbe l’ideale a innestare una nuova marcia, soprattutto a livello continentale. “Il voto in Basilicata, lo ripeto, è come se avesse suggerito un nuovo modello. Da una parte la Lega di Salvini si sposta sempre più a destra, perde il radicamento sui territori ed è come se le facesse un favore. Dall’altro è evidente che le elezioni si vincono al centro, attraendo la vasta galassia moderata. Da questo punto di vista Forza Italia, ma anche Renzi e Calenda, possono essere funzionali alla crescita della Meloni. A partire, come dicevo prima, dalla condivisione di competenze. Una specie di nuovo quadripartito”, scherza Minoli. Ma allargare vorrebbe dire pure riuscire a coinvolgere il grande universo produttivo del nord, restio, per ora, a impegnarsi nel progetto meloniano. Come lo si può fare? “Io sono di Torino. Con gli industriali ci parlo. Molti sono incuriositi dalla Meloni, un contributo lo vorrebbero dare, a lei, al suo partito. Ma si sentono spaventati da quanto è scarso il livello dell’interlocuzione. Perché, diciamocelo, con chi si interfaccerebbero? Con personalità evidentemente non all’altezza, spesso gente rimasta a Colle Oppio”, ragiona il giornalista televisivo. “Per questo il mantra deve essere: se uno vale, va coinvolto, perché conta il progetto, il risultato finale. Certo è un rischio. Ma il rischio lo corri anche con la filosofia della fedeltà: perché poi, a un certo punto, rischi di rimanere strozzato da figure mediocri”. Un bacino da cui bisognerebbe attingere, dice Minoli, “non è tanto la Confindustria, che sta attraversando un periodo di crisi. Quanto l’universo dei cavalieri del lavoro, in cui ci sono personalità interessanti”.

 

Insomma, l’obiettivo post europee, per Meloni, dovrebbe essere quello di “consolidare il primario ruolo internazionale che è riuscita a ritagliarsi”, dice ancora Minoli. “Ma contemporaneamente interessandosi di più a quel che succede all’interno del paese. Dal punto di vista economico ci stiamo avviando verso un periodo di nebbia, non di sole. Risposte dal punto di vista delle politiche industriali dovrà darne. Per questo è importante che non si chiuda, bensì che si apra. Faccia entrare aria fresca”. Sono consigli che, conoscendola, Meloni raccoglierà? “La premier è una persona capace di ascoltare”, risponde allora Minoli. “Credo che, tornando alla tv, per non subire la competizione di nuovi operatori come la Warner, che stanno rivoluzionando il mercato, Meloni nelle prossime nomine dovrà scegliere persone all’altezza e competenti. Altrimenti la Rai rischia di diventare una specie di bad company, peggio di Alitalia”. E se invece Fratelli d’Italia rimarrà un partito di fedelissimi alla leader, che futuro intravede? “Molti sono arrivati al potere ma non sono durati a lungo. Salvini per lei è una specie di parabola di come si possa passare dal successo alla caduta. Se vuole restare a lungo, costruire  qualcosa di duraturo, non deve commettere gli stessi errori”.

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