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Il vicepremier scrittore

Salvini come Manzoni. Chiede ai leghisti di vendere il suo libro, oggi è pronto ad annunciare Vannacci

Carmelo Caruso

Vuole rilanciarsi con il libro "Controvento", prima tiratura da 45 mila copie, e lo presenta il 30 aprile, a Roma con un grande avversario. I banchetti con il testo in ogni sezione

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Abbiamo un nuovo Manzoni, Alessandro Salvini. Il suo nuovo libro “Controvento” l’ha risciacquato in Arno, a casa della sua Francesca Verdini, il capitolo sulla bella lo ha riscritto dodici volte. Il leader della Lega dice ora agli amici: “Questo è il mio testamento. Regalatelo!”. La prima tiratura è di 45 mila copie e a Salvini non  bastano i famosi “venticinque lettori”. Sta chiedendo ai dirigenti leghisti di fare i banchetti in ogni città, organizzare appuntamenti. Il libro lo presenta oggi a Milano dove vuole annunciare che l’altro  collega di lettere, il generale Vannacci, il Massimo D’Azeglio con la vestaglia a fiori, è pronto a correre alle europee. Siamo alla fase Memorie come Rinascita. Scrive come un forsennato, rivede con vicino il paralume e non accetta la critica. Fa il “promesso sposo”.


Salvini si consuma ora di letteratura. Oltre al libro edito da Piemme, lima anche le interviste, a Chi (l’ha rilasciata questa settimana) dove parla della dolce Francesca, che gli avrebbe aperto, rivela Salvini, “mondi che non conoscevo” e con cui vuole “avere un figlio”. Domenica, per i quarant’anni della Lega, a Bergamo, i militanti lo attendevano, ma lui? Si è videocollegato. Era in Toscana, a Montecatini per un’assemblea perché Salvini magia ormai pane senza sale e aspira le vocali. Sei mesi di gestazione, un testo blindato. A Mondadori raccontano che il capitolo su Francesca, titolo, “La Ragazza del mirto” è stato atteso come l’ultimo manoscritto di Dan Brown. I giornalisti, quelli che hanno scritto libri su, e con, Salvini, anche biografie, confermano: “Scritto interamente da lui”. Neppure la casa editrice si può permettere di decidere come, con chi, e dove lo presenta. Si sa solo che il 30 aprile, sarà la volta di Roma, e Salvini dialogherà con “un grande avversario”. Se non ha pensato al Foglio è solo un avversario minore. Al momento, i capitoli anticipati sono quelli su Mario Draghi, Berlusconi, dove risulta chiaro che Salvini ha un rapporto difficile con il telefono. Lo chiama Macron per invitarlo a non uscire dal governo Draghi, e lui, scrive nel libro, era a Como, in barca, e il suo telefono non prendeva (“Il mio staff iniziò a cercarmi in modo martellante, ma io ero su una barca, in una zona senza campo”). La prima volta che lo cerca Berlusconi, Salvini, il Don Lisander, ancora semplice consigliere comunale era in auto e non risponde, ancora, perché “il numero era sconosciuto” e solo una volta arrivato a casa, quando il telefonino ricomincia suonare, allora sì, che lui, decide, anzi, “ok, afferro il cellullare”. Gli agenti letterari rivelano: “Dovete sapere che si è chiuso nella sua stanza di Milano e non tollerava essere disturbato nell’atto creativo”. E’ meglio di John Fante che, in solitudine, scriveva: “Me ne stavo seduto sul letto della mia stanza d’albergo. Era un momento importante della mia vita; dovevo prendere una decisione: o pagavo o me ne andavo. Lo risolsi spegnendo la luce”. Stefano Candiani, alla Camera, non vede l’ora di leggere il tomo, ma prima “devo vincere le elezioni comunali a Tradate”. Bene. Salvini vuole fare il viaggio in Italia, il firma copie. Manzoni aveva cara la tabacchiera, ma Salvini apre il telefono ed è selfie. Per Alberto Savinio, ogni politico era solo uno scrittore mancato che cercava un potere nella gloria negata. Vannacci, Salvini? Fateli scrivere. Dai pieni poteri, al frontespizio.

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