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Ma Elly dov’è? I candidati la cercano, lei si ritrae e rinvia ogni decisione sulle liste

Simone Canettieri

Schlein introvabile: sfugge ai questuanti del suo Pd in attesa della lunga notte dem delle liste. “Le candidature? Sono nella mente di Dio e di Elly”, raccontano, sconsolati, gli eurodeputati

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Tutti la cercano e, come spesso accade, nessuno la trova. A Roma, Bruxelles, Potenza o Bari. Poco importa. D’altronde è tempo di liste in casa Pd, materiale infiammabile da maneggiare con cura.  E perfino la segretaria Elly Schlein, così diversa dai suoi predecessori, si comporta come da tradizione. Agenda mobile, inafferrabile, pronta a sgusciare.  Messaggio di un segretario regionale dem: “Ciao, Elly, quando possiamo parlare un secondo?”. “Risposta: “Ti cerco io”.

Ieri la segretaria ha fatto una toccata e fuga a Bruxelles per la riunione informale del Partito socialista europeo. Tuttavia non ha avuto il tempo, il modo o forse la voglia di incontrare “i suoi”, come direbbe lei, in attesa di un cenno sul loro destino. “Le candidature? Sono nella mente di Dio e di Elly”, raccontano, sconsolati, gli eurodeputati, che aspettano ancora  un caffè che mai si consumerà. 

Chi era rimasto a Bruxelles si aspettava un cenno dalla “capa”, magari per rispetto al ruolo o all’esperienza. Invece nisba. Introvabile. “Scusate, ho un aereo per Roma fra poco”. 
La segretaria nell’ultima direzione aveva parlato del metodo delle liste. Ovvero del famoso panino: civico, lei, poi un dem puro. Oppure lei capolista, ma solo in una circoscrizione, seguita da un civico, e via così. I segretari regionali del Pd, allarmati da questo schema che somigliava molto al cubo di Rubik, le avevano chiesto spiegazioni, rassicurazioni. E lei, sorriso da Monna Lisa: “Tranquilli, vi incontrerò uno a uno: così parliamo”. Così non è successo, la matassa si è ingarbugliata ancora di più e niente si è mosso. 

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Nel frattempo Schlein in una trattativa serrata con le correnti per cercare una pace, o almeno una tregua, ha telefonato anche ad Andrea Orlando per chiedergli di correre. E lui, più interessato forse alle regionali in Liguria, le ha fatto capire che per il momento è più “no che sì”. A meno che, certo, non sia tutto il partito a chiederglielo. 

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Intanto il tempo scivola via e tutti si aspettano indicazioni, anche minime. Ma tranquilli non arriveranno così a stretto giro. Domenica prossima alle 10.30 potrebbe essere il giorno della quasi verità. L’agenda della segretaria questa volta non fa scherzi: è convocata  la direzione nazionale del Pd al Nazareno. Tra i punti all’ordine del giorno c’è l’approvazione delle liste elettorali per le europee. Sarà davvero la parola definitiva? Anche chi ha accesso ai ragionamenti della segretaria dice che “molto probabilmente saranno svelati i capilista, ma uno schema”. Ma Elly alla fine si candiderà? “Non si sa”. Ecco perché galleggia un secondo appuntamento, il 28, in concomitanza con l’iniziativa a Pescara di Giorgia Meloni, a una manciata di giorni dal gong. Sarà quella la scintilla che farà partire la corsa dei leader (quasi tutti, eccetto Matteo Salvini e Giuseppe Conte). Tutto in casa Pd sarà deciso alla fine, dopo notti insonni, ribaltoni, nomi depennati, fiumi di caffè e crisi nervose degli esclusi pronti a rilasciare interviste di fuoco. Sono storie che si ripetono con una certa precisione. In tutti i partiti, certo, ma anche nel Pd ondeggiano fra tragedia e comicità. 

Nel 2012 sotto Natale, l’allora segretario Pier Luigi Bersani, fresco di vittoria delle primarie, decise che una parte del partito per essere candidato si sarebbe dovuto sottoporre alle “primariette”. Sotto la neve, in gran parte d’Italia, e con un pochissimo preavviso per organizzare le truppe. Si ricordano, quel giorno, deputati uscenti che andarono quasi a piangere da Stefano Bonaccini, all’epoca braccio destro del segretario, per chiedergli di essere esentati. “No, le primariette no”. Altro che il dibattito morettiano. 

Enrico Letta, invece, si trovò impigliato in un Ferragosto surreale nel 2022 con una direzione aperta di mattina fino a tarda notte con gruppi dirigenti spaventati, spaesati, sudati. Letta? Era introvabile visto che passava le giornate nella sede della fondazione Arel, a due passi dal Senato, invece che al Nazareno. E anche qui pellegrinaggi di questuanti in attesa di un cenno del leader che demandava tutto al fedele Marco Meloni (depennato nel 2018 e a sua volta pronto a vendicarsi con Luca Lotti,  quattro anni dopo).

Matteo Renzi nel 2018 si chiuse per tutta la notte nella sua stanza, a chiave, per uscirne quasi all’alba in maniche di camicia, armato di foglietto e penna.  Fuori, ad attenderlo, più capicorrente che giornalisti.  Storia vissuta anche da Nicola Zingaretti, nel 2019, quando per le ultime europee con perizia da geometra cercò di far combaciare tutti i lati di un partito dalla forma impazzita. Schlein in questi giorni non è da meno. Non solo evita i giornalisti,  ma fa in modo di stare alla larga anche dal Transatlantico, regno di imboscate e perorazioni. “Elly, posso parlarti?”. “Un attimo e ci sono”, ha risposto a una deputata dieci giorni fa. Questa deputata ancora non si è mossa dal divanetto, in attesa della segretaria, con le mani congiunte.

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