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La spaccatura

Centrodestra veneto in tilt. La Lega spinge Forza Italia all’opposizione

Francesco Gottardi

Stefani sfida Tosi e l’uomo forte di Tajani nel nordest accetta: “Siamo fuori dalla maggioranza sin dal 2020, per colpa di Zaia”, il contrattacco. Così il Carroccio fa il repulisti di consiglieri azzurri. E l’autonomia traballa

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Più che un ordine è un ultimatum. “Così facendo, Forza Italia si spinge fuori dal perimetro di maggioranza in Veneto”, si rammarica – per forza o per finta – Alberto Stefani, il segretario regionale della Lega. “Spiace constatare che un partito alleato si spenda in quotidiani assalti contro di noi”. Come dire: non siamo noi a cacciarvi. Ma poco valete – 3 consiglieri contro i 32 del Carroccio-Lista Zaia – e poco ci metteremmo a farlo. Dall’altra parte, Flavio Tosi non aspettava altro: “In sostanza siamo fuori dalla maggioranza sin dal 2020 per scelta di Zaia”, rincara la dose il pari ruolo in quota forzista. “Anzi, ringrazio Stefani per aver fotografato la realtà: i fatti evidenziano che è Zaia ad aver ripetutamente attaccato Tajani, dall’autonomia al terzo mandato”. Delle due l’una, o forse entrambe. Ebbene: à la guerre comme à la guerre! S’è sfaldato il centrodestra nel nordest.
 

La prima conseguenza tecnica, di portata tutto sommato marginale, è che dalla prossima settimana i tre consiglieri forzisti – Elisa Venturini, Alberto Bozza e l’ex leghista Fabrizio Boron – saranno esclusi da qualunque manovra di maggioranza. E finiranno così relegati all’opposizione, tra le scarne casacche dem e pentastellate (auguri). Anche sotto il profilo numerico il grattacapo trova il tempo che trova: pur perdendo un colore, la coalizione resta solida fino al 2025. Ma in chiave politica s’è spalancato un crepaccio: altro che leale derby interno, qui le baruffe chiozzotte si spostano lungo la laguna fino a Palazzo Ferro-Fini. “Vigileremo sull’autonomia”, infuocava gli animi Tajani, mentre i venetisti cerchiano già in rosso la data del 29 aprile, quando il Ddl Calderoli passerà all’attenzione della Camera. “Non mi va proprio giù la parola vigilare”, replica Zaia. “Noi della Lega preferiamo vigilare su come lo stato spende i soldi dei veneti”, rincara la dose Stefani.
 

Eccoli, il doge e l’alfiere. Stefani sarà pure uomo fidato di Salvini, ma in terra di Luca non può far saltare il banco delle alleanze senza il suo benestare: dietro le bordate delle ultime ore, c’è l’appoggio occulto del presidente. Il confronto fra i due è cosa certa, si mormora in ambienti leghisti. E qualcuno ancora non si capacita del colpo di reni di Forza Italia, soltanto fino a pochi mesi fa mansueto residuo del berlusconismo che fu. Poi sono accadute due cose: le guerre intestine nella Liga e l’ascesa di Flavio Tosi tra gli azzurri, con l’obiettivo dichiarato di tirare quanta più acqua possibile (voti, amministratori, militanti) al proprio mulino drenando al contempo il suo ex partito. Oggi l’uomo forte di Tajani in Veneto lamenta “la clamorosa rottura nella storia del centrodestra: quando i rapporti di forza erano invertiti, il Cav. aveva sempre riconosciuto dignità e rappresentanza a ciascun alleato di qualunque dimensione. Noi invece non siamo rappresentati in giunta e non esprimiamo nemmeno una presidenza di Commissione in Consiglio regionale”. Immediata la replica di Alberto Villanova, il capogruppo di Zaia che non si sottrae all’azzuffata: “I rapporti di forza in Veneto sono frutto di un risultato elettorale”, che non esattamente ieri (settembre 2020) aveva espresso oltre il 50 per cento di preferenze al ticket Lega-Lista Zaia e soltanto il 3,5 a Forza Italia. “Guarda caso però si crea il caso dopo anni, a ridosso del voto a Roma sull’autonomia e a poche settimane dalle europee: ne prendiamo atto, con stupore e rammarico. Ma ricordo che se si appiccano fuochi, bisogna poi prendersi la responsabilità di aver acceso l’incendio”.
 

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È anche questione di latitudini. Nelle stesse ore in Calabria, il rispettivo Consiglio regionale ha chiesto “una preventiva analisi d’impatto anche sulle materie escluse dalla determinazione dei Lep: senza questo indispensabile approfondimento, nessuna intesa stato-regioni potrà essere formalizzata”. Di fatto è un veto sull’autonomia. A proporlo è la maggioranza di centrodestra, stavolta al gran completo: Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega. I partiti insieme, le regioni contro. Stando al Carroccio veneto, sarebbe il caso di mettere alla porta pure sé stessi. E barricarsi nella terra dei soli, orgogliosamente non accompagnati.

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