Il retroscena

Meloniani per Trump: i parlamentari di FdI alla convention di "The Donald"

Simone Canettieri

Una delegazione a Washington per il Cpac, la festa dei Conservatori organizzata dall'ex presidente Usa che punta al bis: così coltiviamo le relazioni. La premier non sa se invierà un videomessaggio di saluto

“Ci dobbiamo essere anche noi”. E così, nonostante la campagna elettorale e gli impegni d’Aula, Giorgia Meloni ha detto ai suoi parlamentari di volare a Washington per partecipare al Conservative Political Action Conference (Cpac) dal 21 al 24 febbraio. Si tratta della più grande  manifestazione dei repubblicani che si tiene ogni anno negli Usa, inaugurata da Ronald Reagan nel 1974. Quest’anno avrà un sapore molto particolare perché si incrocerà con il voto delle presidenziali e soprattutto con l’intervento di Donald Trump, candidato alla Casa Bianca e atteso speaker dell’iniziativa.  Meloni da presidente del Partito conservatore (Ecr) tiene molto all’appuntamento. Nel 2022, quando era ancora all’opposizione, volò in Florida e parlò dal palco; l’anno scorso, da premier, inviò un videomessaggio. Quest’anno sta pensando di fare altrettanto. Con tutti i dubbi del caso, certo. 


Le ultime uscite di Trump hanno avuto un rimbalzo lungo, fin qui in Europa. L’ex presidente che punta al bis ha detto nei giorni scorsi che inviterebbe la Russia “a fare il diavolo che vuole” se un paese della Nato invaso da Mosca non fosse in regola con i contributi da versare all’alleanza Atlantica. Matteo Salvini ne è un indefesso tifoso: lo scorso gennaio con un post su X si è congratulato per la “vittoria a valanga nell’Iowa”.

Giorgia Meloni – in sintonia quasi amicale con Ursula von der Leyen e forte di un rapporto buono e personale con Joe Biden – finora è stata in silenzio. Anche se, come raccontato dal Foglio, è stata avvisata e ha dato il via libera all’incontro fra il parlamentare di FdI Andrea Di Giuseppe e il Tycoon a Mar-a-Lago. E queste discrete, ma concrete, manovre di Meloni verso Trump continuano. Lo dimostra la delegazione di patrioti che martedì partirà da Roma direzione Usa.

A capitanarla ci sarà il deputato Antonio Giordano, segretario generale dell’Ecr, silente braccio destro di Meloni nelle questioni europee che riguardano i Conservatori. Dovrebbe essere del gruppo anche un altro fedelissimo della premier, generazione Atreju purissima: Mauro Rotelli, presidente della commissione Trasporti, già responsabile della comunicazione del partito (è la voce fuori campo, una specie di speaker, di tutte le iniziative politiche di Fratelli d’Italia). Hanno già fatto i biglietti anche gli onorevoli Giovanni Cannata e Manlio Messina, lanciatissimo in tutti i talk e ogni volta che  serve una dichiarazione per i pastoni dei telegiornali. Un paio di adesioni sono attese dal gruppo dei senatori patrioti. Mentre da Bruxelles, complice la campagna elettorale, non arriveranno euroeletti: l’anno scorso partecipò all’iniziativa Carlo Fidanza. Al contrario anche la linea giovani del partito sarà in prima fila per tifare l’acclamazione di Trump. A partire da Maicol Pizzicotti Busilacchi, segretario internazionale del movimento giovanile di Fratelli d’Italia.

Ma le sparate di The Donald non minano la posizione convintamente europeista e filoucraina che ha costruito Meloni in questo anno e mezzo di governo? I patrioti minimizzano “a sparate elettorali” e dicono che in fin dei conti tutto è perdonabile “se anche il Papa ha ricevuto Milei”. Il succo della vicenda è un altro: la presenza della delegazione di FdI serve a curare i contatti con il mondo dei conservatori americani, ma alla fine anche a coltivare politicamente “lo scenario  Trump”.

Finora la premier ne ha parlato pochissimo. E si è limitata a dire che comunque dovesse andare a novembre  “la politica estera dell’Italia non cambierà:  noi e gli Usa siamo due alleati solidissimi, e abbiamo sempre avuto ottime relazioni indipendentemente dal cambio del presidente del Consiglio italiano o del presidente americano”. Così vuole la grammatica istituzionale anche perché la premier, da presidente di turno del G7, accoglierà Biden in Puglia il prossimo giugno per il vertice con i grandi della terra. E forse proprio questo ruolo potrebbe spingere Meloni a non inviare quest’anno un videomessaggio al Cpac, al contrario della passata edizione (o magari a mandarne uno al Cpac ungherese di aprile, meno compromettente).

La sua presenza sebbene virtuale alla Conferenza di Washington passerebbe a tutti gli effetti come un endorsement a Trump, molto potente,  della presidente dei conservatori europei, certo, ma anche e soprattutto della presidente del Consiglio italiano: scindere i ruoli risulterebbe complicato. “Cercheremo di essere sobri, una decisione ancora non è stata presa”, raccontano nelle stanze ovattate di Palazzo Chigi dove la realpolitik costringe la padrona di casa a tenere i piedi in due staffe. Almeno fino alla notte delle presidenziali del prossimo novembre.
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.