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Provenzano e la linea del Pd sull’Ucraina: illogicità e ipocrisia

Luciano Capone

Il responsabile Esteri prova a spiegare, tra mille contraddizioni, il senso della linea dadaista del Pd sull’Ucraina: la tattica che prevale sulla politica e sulla logica

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La missione non era semplice: spiegare la linea del Pd sull’Ucraina dopo la gestione confusionaria del voto in Parlamento: sì agli aiuti militari a Kyiv, ma astensione sulle risoluzioni del M5s (contraria alle armi), della maggioranza e del cosiddetto Terzo polo (a favore). A dare un senso a tutto ciò, intervistato da Repubblica, ci ha provato Peppe Provenzano, responsabile Esteri del Pd. Ma il risultato è desolante, dal punto di vista logico prima che politico.

Provenzano ce l’ha con i dissidenti dem (tre alla Camera e sette al Senato) che, oltre a quella del Pd, hanno votato anche a favore delle risoluzioni del Terzo polo (Az, Iv e +E) e del centrodestra. “Vorrei ricordare che il premier non è più Mario Draghi ma Giorgia Meloni”, dice. Aggiungendo che non si deve “utilizzare la politica estera per rese dei conti interne” al partito. La posizione del Pd è di “pieno sostegno anche militare” all’Ucraina ma con “la richiesta di una più incisiva iniziativa diplomatica europea per una pace giusta”.

Provenzano motiva l’astensione sulla risoluzione della maggioranza dicendo che “dopo un anno non sono più credibili”: il ministro Crosetto non può "evocare un’iniziativa diplomatica senza dire con chi, in che termini”. Questo argomento, che è poi quello già usato da Conte contro Draghi, è un po’ paradossale. Perché è esattamente il contenuto della risoluzione del Pd che impegna il governo genericamente a “un rinnovato e più incisivo impegno diplomatico” e “ad adoperarsi in ogni sede internazionale per l’immediato cessate il fuoco”. Senza dire con chi né in che termini. Per coerenza, insomma, Provenzano avrebbe dovuto astenersi anche sul suo testo.

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Pure l’argomento del cambio di premier è inconsistente. Non solo perché lo scorso anno il Pd ha votato le risoluzioni di Meloni al governo, ma anche perché Meloni quando era all’opposizione, sull’Ucraina, votava come Draghi. Proprio perché la politica estera è una questione seria. C’è infine il tema dei dissidenti. Ma rispetto a cosa? Perché il Pd ha cambiato linea nelle due votazioni in Parlamento: alla Camera l’indicazione era astensione sui testi di M5s, Terzo polo e centrodestra; mentre al Senato era di votare a favore della risoluzione dei centristi ma non della maggioranza. Ma il terzo polo, che aveva un testo anche più duro di quello della destra, ha logicamente votato anche a favore della mozione di maggioranza. Come fa il Pd a essere a favore di un testo ma non dell’altro? O meglio, a esserlo al Senato ma non alla Camera? E questi dissidenti, che hanno votato allo stesso modo a fronte di due indicazioni diverse del partito, sono meno dissidenti al Senato rispetto alla Camera?

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A tutta questa incoerenza, il responsabile Esteri aggiunge un tocco di ipocrisia accusando i pochi rimasti coerenti nel tempo con la linea del Pd di usare la politica estera per posizionamento interno. In realtà, questa è esattamente la ragione che spiega la deriva dadaista della segreteria Schlein sull’Ucraina: distinguersi dal passato e da Meloni per coprirsi a sinistra dal pacifismo di Conte. La tattica che prevale sulla politica e sulla logica.

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