Il caso

Meloni e i Pozzoli d'Italia: il tallone della classe dirigente di Fratelli d'Italia resta

Simone Canettieri

Ha colpito (e sospeso) uno per educarne cento. Ma frena all'ipotesi di un nuovo partito Conservatore e si rabbuia quando le si chiede della gestione famigliare di FdI

Da una parte è “Giorgia Mao”. La cara leader che colpisce uno (il deputato pistolero Emanuele Pozzolo, sospeso da FdI) per educarne cento. Non è disposta a fare questa vita, con la responsabilità che ha sulle spalle, “se le persone che sono intorno a me non capiscono quella responsabilità”. Per questo sarà rigida: ci siamo capiti? Dall’altra parte la premier si rabbuia subito, appena il Foglio le chiede se dopo le europee ha in mente di spalancare porte e finestre di Fratelli d’Italia, gigante elettorale a conduzione famigliare, lanciando il partito unico dei Conservatori, magari con una nuova Fiuggi, magari togliendo la fiamma dal simbolo. A questo scenario, che ha bene in mente, dichiara di “non averci messo ancora la testa”. Ma quando poi collega gestione a conduzione familiare e crescita della classe dirigente del suo partito si rabbuia.  


E quindi si difende dall’accusa di familismo, termine non usato nella domanda, e dice che “si è stufata” di queste illazioni. E tira in ballo la sorella maggiore Arianna, compagna del ministro Francesco Lollobrigida, responsabile della segreteria politica di FdI. “Forse potevo metterla in una partecipata, l’ho messa a lavorare nel mio partito”. Seguirà l’esempio di due coppie di parlamentari di opposizione, Franceschini & Di Biase del Pd e Fratoianni & Piccolotti di Sinistra italiana (Si), che però, recrimina, non vengono mai attenzionate. Evidenza forse anche verosimile visto che soprattutto Si è un partito del 3 per cento che non governa nemmeno in un condominio. La storia del Capodanno di Pozzolo ha squarciato comunque un velo che per la prima volta Meloni ha reso pubblico. Riguarda le intendenze che spesso sembrano non seguirla, ma anzi scivolano con gusto su bucce di banana. Truppe che lei ha scelto con dovizia di cura in base a crisi di fedeltà adamantina che finora, dopo più di un anno  di governo, nessuno ha mai messo in dubbio. Fratelli d’Italia non ha un’articolazione  composta da una maggioranza e da una minoranza interne. Non solo:  anche la fase congressuale non sta regalando alcun tipo di novità sui territori. Tutto è deciso a tavolino, o quasi, senza discussioni con una chiarissima logica di filiera che porta dritta dritta alla Fiamma magica, il nucleo ristrettissimo di potere che governa Via della Scrofa e l’Italia. Intorno a questi due lampi – la domanda sul pistolero è arrivata per quindicesima dopo un’ora e mezza grazie a Fanpage – si è consumata la conferenza stampa rinviata per due volte a fine 2023 a causa dei fastidi della salute della protagonista. Come anticipato dal Foglio, Meloni ha accettato la sfida tv con Elly Schlein e allo stesso tempo ha fatto capire che è pronta a candidarsi alle europee per misurare il proprio consenso anche se alla fine non siederà sui banchi di Strasburgo. Prima del sì ufficiale dice che ne parlerà con Matteo Salvini e Antonio Tajani per cercare un equilibrio e per sperare di non cannibalizzare i loro consensi a discapito della stabilità di Palazzo Chigi.

Allo stesso tempo la premier –  autodefinitasi “il presente della nazione” – ha citato spesso il doppiopesismo della sinistra. Senza mai pungere direttamente Schlein, al contrario di Conte, attaccato in più di un’occasione. Insomma, niente di nuovissimo, così come le allusioni a ricatti e a tentativi di condizionarla, anche se non esplicitati nel merito. Al contrario è nuova  sul fronte Ue l’idea una strategia “modalità Pis polacco” in vista di una futura commissione magari di nuovo a trazione Popolari e Socialisti. E quindi sì a un appoggio del futuro presidente (magari ci sarà il bis di  von der Leyen) ma niente accordo  nel Parlamento europeo. Il tutto  affinché l’Italia ottenga un commissario e la maggioranza che governa qui non esploda lassù. E Draghi? “Dice di non essere disponibile”. Accortezze e  alchimie di  chi è portata  a essere anche la leader della coalizione oltre che la capa  del suo partito. Di cui solo lei può parlare. Altrimenti “si stufa”.
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.