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Fedriga protesta, Giorgetti sbuffa. Lo stallo di Fitto sul Pnrr crea tensione a destra. Il giallo sui fondi europei

Valerio Valentini

Il ministro presenta le proposte di modifica al Piano da inviare alla Commissione. Ma nell'incertezza sulla trattativa, tiene bloccate le risorse per la coesione. "Facciamo fatica a fare i bilanci", segnala il presidente friulano. E intanto il ministro dell'Economia, insieme al sottosegretario Morelli, si mettono di traverso. A rimetterci, per ora, sono i governatori

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Vincenzo De Luca, che con lui ha ormai un conto aperto, di Raffaele Fitto dice che “vorrebbe essere il ministro della complessità e invece è il ministro del guazzabuglio. Un personaggio con ambizioni orwelliane, ma in verità piuttosto kafkiano”. Segno di una sintonia mai nata, tra i due. Ma se il rapporto tra il responsabile del Pnrr e i governatori va complicandosi ben oltre l’acredine mai nascosta che nei suoi confronti nutre il presidente campano, è proprio perché, in effetti, della complessità che Fitto si trova a dover gestire, le regioni finiscono, loro malgrado, con l’essere vittime collaterali. E così la tensione sale, se è vero che la scorsa settimana perfino Massimiliano Fedriga ha evidenziato a Fitto il disagio che lui vive ormai da presidente della Conferenza stato-regioni. Lo stesso che poi anche Giancarlo Giorgetti, sia pure per altre vie, ha segnalato.

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Vincenzo De Luca, che con lui ha ormai un conto aperto, di Raffaele Fitto dice che “vorrebbe essere il ministro della complessità e invece è il ministro del guazzabuglio. Un personaggio con ambizioni orwelliane, ma in verità piuttosto kafkiano”. Segno di una sintonia mai nata, tra i due. Ma se il rapporto tra il responsabile del Pnrr e i governatori va complicandosi ben oltre l’acredine mai nascosta che nei suoi confronti nutre il presidente campano, è proprio perché, in effetti, della complessità che Fitto si trova a dover gestire, le regioni finiscono, loro malgrado, con l’essere vittime collaterali. E così la tensione sale, se è vero che la scorsa settimana perfino Massimiliano Fedriga ha evidenziato a Fitto il disagio che lui vive ormai da presidente della Conferenza stato-regioni. Lo stesso che poi anche Giancarlo Giorgetti, sia pure per altre vie, ha segnalato.

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Il presidente friulano, leghista dal piglio pragmatico, la sua lamentela l’ha messa a verbale il 19 luglio scorso, durante una riunione della cabina di regia dei Fondi di sviluppo e coesione (Fsc) convocata da Fitto. E’ stato in quella sede che per la prima volta dall’insediamento del governo, il ministro ha condiviso una proposta di ripartizione dei Fondi europei destinati alle regioni per il settennato 2021-2027: non tutti, ma almeno il 60 per cento dei 54 miliardi complessivi, e cioè i 32 miliardi di diretta competenza regionale. Ed eccoli, finalmente, dunque, i 6,8 miliardi destinati alla Sicilia, i 6,5 per la Campania, i 4,5 per la Puglia, giù giù fino ai 37 milioni per la Valle d’Aosta. Un passo avanti nella estenuante trattativa tra Roma e le regioni. Solo che è un passo avanti che si risolve in una danza sul posto, per ora. Perché a quel punto Fedriga, dando voce a un’inquietudine condivisa un po’ da tutti i governatori, ha chiesto a Fitto se le regioni potessero  considerare per assegnati quei fondi, e dunque iscriverli a bilancio. E qui Fitto è stato categorico: “No, non si può”. Prima, infatti, il ministro intende sottoporre le proposte di spesa delle regioni al vaglio di Palazzo Chigi: accordi bilaterali in cui bisognerà chiarire come mai solo un terzo dei Fsc del 2014-2020 sono stati effettivamente spesi, e quanti dei vecchi progetti della programmazione precedente “necessitano di essere trasposti nel nuovo ciclo”, e insomma verificare che pure stavolta le previsioni d’investimento delle regioni, specie al sud, non restino sulla carta. “Solo a valle di questo iter si potrà procedere”, dice Fitto. Che così, però, continua a tenere in stallo le regioni. 

Un puntiglio, in ogni caso, che pure qui resta un po’ sospeso in aria. Perché lo schema di ripartizione proposto dal ministro per gli Affari europei va ratificato dal Cipess, il Dipartimento per la programmazione economica del governo. “Una ratifica che arriverà domani”, aveva garantito Fitto ai governatori il 19 luglio scorso. Se non fosse che, nella riunione dell’indomani del Cipess, presieduta dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e dal sottosegretario alla Programmazione economica, Alessandro Morelli, entrambi leghisti, la delibera auspicata da Fitto non è arrivata. “Si stanno verificando alcuni dettagli”, spiegano ufficiosamente a Palazzo Chigi. Dal Mef, invece, la mettono giù in maniera meno diplomatica, dicendo che non si può pretendere di validare un documento così importante senza neppure un confronto preliminare. Tutto viniato, pare, a una nuova riunione fissata per il 2 agosto.

E dunque servirà altro tempo. Cosa che, al netto delle incomprensioni coi colleghi di governo del Carroccio, a Fitto non dispiace troppo. Perché sarà pur vero, come dice lui, che “prima di sbloccare nuovi fondi bisogna capire perché finora non si è riusciti a spenderli”. Ma è pure indubbio che questo stallo serve al governo come spazio d’emergenza sul Pnrr. E lo si è capito proprio ieri, d’altronde, quando Fitto ha presentato la bozza delle proposte di modifica del Piano. E in discussione, tra l’altro, ci sono 9 misure “che si propone di definanziare dal Pnrr e di salvaguardare attraverso la copertura con altre fonti di finanziamento”. Ballano, in questo caso, 15,9 miliardi. E potrebbero essere anche di più se Bruxelles non dovesse accogliere le richieste italiane relative alla ridefinizione dei parametri di rendicontazione e verifica di vari obiettivi da raggiungere, costringendo a quel punto il governo a rimettere in discussione altre opere, e pure dispendiose, come quelle relative all’Alta velocità al centro e al sud. Ora, dove reperire questi soldi? Nel fondo complementare del Pnrr ci sono 30 miliardi, che però al momento sono già assegnati ai vari ministeri: attingere a quelle risorse significherebbe scontentare qualcuno, e creerebbe nuovi ammanchi. Ci sono i fondi di coesione, appunto. E dunque gli Fsc. Tolti i 32 miliardi già assegnati, e gli 11 già impiegati, dei 54 miliardi di quegli Fsc restano nella disponibilità diretta del governo una decina di miliardi. Potranno essere una buona cassa di compensazione per finanziare progetti da espungere dal Pnrr, ma potrebbero non essere sufficienti. Dunque, non è escluso che a quel punto si utilizzino i fondi in teoria destinati alle regioni. E qui sta il senso del ritardo: le proposte di modifica del Pnrr andranno inviate alla Commissione entro fine agosto, di lì poi partirà un confronto che potrà durare mesi. Solo alla fine si capirà quanto si potrà effettivamente assegnare ai governatori. Con buona pace di De Luca e pure di Fedriga.
 

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