Ma quale bavaglio. Per Meloni semmai il guaio sarà spiegare a Bruxelles la svolta sulla Corte dei conti

Valerio Valentini

Il controllo in corso d'opera sul Pnrr era stato assegnato da Draghi ai giudici contabili su richiesta della Commissione europea. Che ora, sul blitz di Fitto, prende tempo: "Attendiamo di leggere la legge definitiva". Non un bel segnale. Lo strano caso del cervellone del Mef

Ufficialmente, il giudizio è sospeso. Nel senso che, “in mancanza di una norma definitiva”, la Commissione europea evita di esprimersi. E certo già questo non pare il preludio a un’approvazione scontata, da parte di Bruxelles. Perché tra venti giorni il decreto Pa dovrà essere approvato, e a quel punto la norma che abroga il controllo concomitante della Corte dei conti sul Pnrr sarà legge. E lì – a dispetto delle esasperate accuse di “deriva autoritaria” – sta forse il possibile inciampo per Raffaele Fitto. Perché la scelta d’affidare ai giudici contabili la supervisione in corso d’opera Mario Draghi l’aveva adottata proprio su richiesta europea.

Erano i primi mesi del 2021, il confronto tra Palazzo Chigi e gli uffici della Commissione era serrato per definire in tempo la governance del Pnrr. E furono i tecnici di Bruxelles a richiedere una forma di controllo in itinere a livello nazionale, un rafforzamento dei vincoli sulla verifica dello stato di attuazione delle opere. E fu allora che Draghi – il quale pure, sui rischi della “fuga della firma” e dell’invadenza della magistratura contabile s’era espresso con parole chiare proprio inaugurando l’anno giudiziario della Corte, a febbraio 2021, e che non a caso volle prorogare lo scudo erariale inviso alla Corte stessa – convenne coi suoi collaboratori che la cosa più logica, e più efficace, fosse demandare proprio a uno specifico ufficio della Corte dei conti. Non è un caso che nella relazione di presentazione del Piano, Draghi specificò quel compito: “Ai controlli concorre anche il Collegio del controllo concomitante recentemente istituito presso la Sezione centrale Controllo sulla gestione delle amministrazioni dello stato, la cui attività è essenzialmente finalizzata ad avere effetti acceleratori e propulsivi rispetto all’azione amministrativa, anche attraverso l’attivazione dei necessari correttivi in corso d’opera”.

Ora, la protesta di Fitto è per certi versi legittima. Altro che correttivi: un mese fa la Corte, con due delibere, si è indebitamente assunta l’onere di giudicare mancati degli obiettivi del Pnrr, prerogativa che spetta – come ha ribadito ieri anche il sottosegretario Alfredo Mantovano durante l’incontro a Palazzo Chigi coi vertici della Corte – alla sola Commissione europea. E tuttavia non c’è dubbio che, pur nella sua forse incongrua assertività, i giudici contabili abbiano finito col dare qualche sollecito positivo alle amministrazioni pubbliche. Lo confermano dalle parti della Ragioneria generale, ad esempio, dove si sono accorti che proprio dopo l’ultimo richiamo della Corte sulla scarsa attuazione dei finanziamenti del Recovery nel primo periodo del 2023, qualcosa s’è mosso. Perché Fitto s’è accorto che quei dati così deludenti – appena lo 0,7 per cento d’incremento nell’uso dei fondi nei primi quattro mesi dell’anno – erano dovuti al fatto che molti ministeri, e qualche amministrazione locale, tardavano ad aggiornare le cifre di propria competenza sul ReGis, il cervellone del Mef che sorveglia l’attuazione del Piano. E, coincidenza, da qualche giorno sul ReGis è un proliferare di richieste di aggiornamento dei dati.

Era questo, in fondo, lo spirito iniziale della norma. E certo, modificare in corso d’opera il sistema di sorveglianza è lecito, per il governo, e non configura affatto – come ieri del resto ha spiegato anche Guido Carlino, presidente della Corte in audizione alla Camera, ridimensionando la cagnara – né “un bavaglio” né la premessa di una “democratura”. Ma certo a Bruxelles la scelta del governo non è passata inosservata. Per i modi, certo, che denotano un certo zelo ritorsivo nei confronti del controllore designato. E perché, appunto, il ruolo della Corte era stato concordato in sede di negoziazione del Pnrr. Non verrà smantellato, certo – e qui sta forse il grande fraintendimento: perché la Corte dei conti sarà chiamata comunque a vigilare e a riferire semestralmente alle Camere sullo stato di attuazione del Piano – ma è di certo indebolito, quantomeno nella sua funzione di accompagnamento. Ed è su questo aspetto che la Commissione vorrà dei chiarimenti, forse delle rassicurazioni (in una fase, peraltro, su cui a Bruxelles stanno esercitando un controllo che dire scrupoloso è poco, sul Pnrr italiano, e infatti il via libera alla terza rata, ferma ormai da sei mesi, ancora non si vede).

Forse anche per questo Fitto e Mantovano, con raffinata doppiezza democristiana, nel giorno in cui di fatto hanno annichilito le rimostranze della Corte (soprattutto sulla proroga dello scudo erariale, vero motivo del contendere nella riunione di ieri a Palazzo Chigi), hanno anche annunciato “l’istituzione di un comune tavolo di lavoro” per ridefinire i vari istituti di vigilanza della Corte sull’operato delle pubbliche amministrazioni. In Italia in fondo finisce tutto così, con un tavolo di lavoro, che di solito prelude a un monitoraggio, che finisce col promuovere un approfondimento e un ciclo di audizioni. Chissà se a Bruxelles capiranno mai la nostra genialità.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.