“adiós”

Cade il governo Sanchez. Accidenti, proprio ora che il Pd aveva trovato il suo modello!

Salvatore Merlo

Occasione unica: ora ci si può anche far venire qualche idea in proprio. Ma quella di inventare qualcosa di nuovo, e magari di diventare un modello per i fatti propri, è una necessità dalla quale il politico italiano (e il Pd) non sembra essere mai tormentato

Proprio adesso che il Pd aveva trovato il modello spagnolo, accidenti!  Il governo di Pedro Sánchez si è dimesso. La sinistra iberica, che in Italia ispirava la lotta al decreto Lavoro e la proposta di introdurre il salario minimo, è lei ai minimi... termini. Le ricette sociali sono state bocciate dagli elettori. Pure la sindaca di Barcellona, Ada Colau, un autentico faro, quella di “guardiamo cosa hanno fatto a Barcellona, sono i nostri temi e la nostra identità” (Elly Schlein, 4 dicembre 2022), ha perduto malamente.  

   

E in effetti sembrava che il nuovo Pd avesse una sola grande passione nella vita: Colau, Sánchez, l’ambientalismo, e la sinistra spagnola che limita i contratti a tempo determinato. Era tutto nel programma di Schlein. Naturalmente in questo nuovo Pd, sia chiaro, hanno sempre voluto bene anche alla mamma. Sono sempre stati teneri verso i figlioletti e soccorrevoli nei confronti dei nonni. Ma l’amore che portavano al “modello spagnolo” era incomparabile. E adesso? E ora che si fa? Per prima cosa respingiamo le facili ironie. Non è affatto vero che i risultati delle  valutazioni di Schlein, tra la Spagna e le amministrative italiane, erano esatti più o meno come le previsioni di Wanna Marchi sui numeri del lotto. “L’onda di destra si è fermata”, aveva detto Schlein (ma solo perché l’aveva letto su Repubblica il giorno prima). Certo il modello spagnolo si è apparentemente dissolto, venendo su a bollicine come l’Alka-Seltzer, ma l’occasione è forse unica: ora ci si può anche far venire qualche idea in proprio.

    
La nostra idea è che il modello straniero sia come l’ombrello nelle gite. Quando tutti sono in auto, ben sistemati per partire, qualcuno getta un urlo: “E l’ombrello? Avete portato l’ombrello?”. Così è per il modello straniero nella politica italiana. Piena di individui senza individualità. Fateci caso, ma tutti, prima o poi, avvertono quel bisogno urgente, viscerale, per non dire intestinale, di salpare al di là degli oceani, di saltare oltre le Alpi (o i Pirenei se non le Ande) per ritrovar se stessi. E quel che sempre ci affascina è la totale assenza, manifestamente, della preoccupazione di avere un’idea. E allora: diritti, ambiente, fisco, lavoro si prendono dalla Spagna. L’unico prodotto italiano, al momento, l’unica cosa per così dire “originale” e autoctona brandita contro il governo di destra, è all’incirca l’accusa di fascismo. Il paragone tra Meloni e Mussolini. Quella di pensare, o di inventare qualcosa di nuovo, e magari di diventare un modello per i fatti propri, è una necessità dalla quale il politico italiano non sembra essere mai tormentato. Sicché ci si dedica allegramente all’imitazione. E al Pd, manco a dirlo, piace per l’appunto lo spagnolo (maccheronico). Anche sudamericano, nel caso.

  

Poco meno di un anno fa, per dire, Peppe Provenzano, oggi responsabile esteri della segreteria Schlein, viaggiava tra Cile e Brasile. “Un’onda progressista”, diceva con l’aria del sapiente giocatore che raccoglie infine il frutto di una serie di mosse infallibili. Meno di un anno dopo, in Cile, la sinistra è più impopolare del vecchio Pinochet. In Colombia è scomparsa. E quanto al modello Lula (“il sogno brasiliano” di Provenzano), il leader cui il Pd doveva ispirarsi perché non era putiniano come Jair Bolsonaro, ebbene oggi Lula sta con Putin esattamente come Bolsonaro. Adesso è caduto pure Sánchez, con la “ricetta spagnola”, che non è la paella ma il progetto evocato da Schlein nel suo discorso di candidatura alle primarie. A questo punto le cose sono due, o Schlein si reinventa oppure resta assieme a Sánchez e Colau come quelle vedove allucinate che seguitano a dormire col marito già morto da mesi.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.