La governance del Pnrr è un rebus: i dubbi di Corte dei Conti e Bruxelles. E' caos in Senato

Valerio Valentini

I giudici contabili paventano ritardi, la Commissione vuole vederci chiaro, e il ministro Pichetto è in affanno sugli emendamenti al decreto decisivo. Così per Fitto ridefinire le strutture direttive del Recovery resta un rompicapo, e a Palazzo Chigi iniziano a circolare seri dubbi

Che ci sia tensione nell’aria lo dimostrano questi senatori della Lega alla buvette del Senato. “Ieri si era detto oggi, oggi si va a domani”. Sembra una variazione del Macbeth (“Tomorrow, and tomorrow, and tomorrow”), e invece è il travaglio della maggioranza sul Pnrr. Ce l’hanno con Nicola Calandrini, quelli del Carroccio: il presidente della commissione Bilancio che però, poveraccio, non può far altro che trasmettere ai suoi colleghi un’incertezza che è la stessa sua, costretto com’è ad attendere dal governo un cenno di chiarezza sul da farsi.

La linea dell’esecutivo sul decreto del Pnrr, varato ormai più di un mese fa e ancora impantanato a Palazzo Madama, è un poco zoppicante: l’arrivo in Aula è previsto per la prossima settimana, ma quasi sicuramente, con tutto l’iter di voto in commissione da superare, slitterà. Martedì mattina, Giancarlo Giorgetti, insieme a Raffaele Fitto, aveva presieduto una riunione al Mef, coi responsabili dei partiti di maggioranza. S’era fissato per ieri pomeriggio un vertice coi capigruppo. Rinviato, però, quasi in extremis, perché i pareri del governo sugli emendamenti presentati  ancora non ci sono. E’ Gilberto Pichetto quello che più di altri sta in affanno. E non a caso, se è vero che i funzionari del ministro dell’Ambiente devono giudicare proposte scivolose che arrivano dalla stessa maggioranza e che riguardano, però, questioni dibattute del Pnrr. Come nel caso dei leghisti Dreosto e Borghi, che chiedono correzioni sul teleriscaldamento: che è, manco a dirlo, uno dei tre target su cui è in corso la trattative della Commissione europea per sbloccare la rata da quasi 20 miliardi.

E qui si capisce la natura della difficoltà dell’esecutivo. Fitto e Giorgetti si ritrovano da un lato a dover mediare con le opposizioni per evitare un atteggiamento conflittuale su un dossier quanto mai tribolato; dall’altro, a placare gli appetiti più o meno scombiccherati di quei senatori del centrodestra che, almeno sul più importante dei temi, il Pnrr appunto, vogliono dire la loro. Per questo oggi il ministro Luca Ciriani, responsabile per i Rapporti col Parlamento, convocherà i gruppi uno per volta, per provare a smaltire il traffico. Senza dire, forse, che al dunque tutta questa negoziazione sarà vana, visto che il governo presenterà il suo pacchetto di emendamenti blindati, e tanti saluti.

Perché, e qui si arriva all’ulteriore complicazione della faccenda, a Palazzo Chigi sanno bene che il percorso sul Pnrr è segnato. E misuratissimo, in particolare, dovrà essere il lavoro su questo decreto che ridefinisce, tra l’altro, la governance del Piano. Una modifica che è stata inizialmente discussa con Bruxelles, e su cui però gli ispettori di Ursula von der Leyen si sono riservati di valutare a cose fatte, e cioè dopo la conversione parlamentare del provvedimento.

Non è un giudizio scontato. Ancor meno dopo che la relazione della Corte dei Conti, due giorni fa, ha evidenziato i pericoli connessi al riassetto degli organigrammi, sottolineando “l’esigenza” che l’attuazione del decreto “avvenga senza soluzione di continuità con gli attuali moduli organizzativi”, così da evitare che la fase di avvio delle nuove strutture sia caratterizzata da lungaggini e complicazioni “con conseguenti rischi di rallentamenti nell’azione amministrazione proprio nel momento centrale della messa in opera di investimenti e riforme”. Insomma, lo scenario che da più parti si paventava: che cambiare in corsa la governance del Pnrr avrebbe generato più caos di quello che pretende di evitare. Fitto, in ogni caso, si dice convinto che nell’applicazione del nuovo decreto questi spauracchi verranno confutati. Ma dev’essere proprio la consapevolezza della difficoltà a suggerirgli di attendere, ancora, prima di elaborare il Dpcm che darà corpo e sostanza (e nomine) alle nuove strutture direttive. Un tentennare che, comunque, non potrà prolungarsi oltre il 25 aprile. E che, si vocifera, sta alimentando dubbi anche all’interno del gabinetto di Giorgia Meloni, dove si vorrebbe procedere più spediti. Forse sapendo che l’attesa del domani di Macbeth non va presa a modello.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.