Il racconto

Schlein-Meloni: duello senza mordersi, intanto Salvini e Conte cercano attenzioni

Simone Canettieri

La premiera e la leader Pd si legittimano a vicenda, mentre i capi di Lega e M5s sembrano due personaggi in cerca d'autore

Finisce con una stretta di mano in Aula. “Ciao”. “Ciao”. Poi Giorgia Meloni ed Elly Schlein vanno per i fatti propri. Una verso Palazzo Chigi. L’altra  alla buvette con il portavoce Flavio Alivernini (inseguito da uno sciame di cronisti, solita scena: Elly farà dichiarazioni, niente domande). Bisogna allargare lo sguardo.  Matteo Salvini gironzola soddisfatto: è stato stracitato (in male, ma poco importa) e prima di entrare ha pure attaccato la Cgil, dove domani andrà Meloni.  Simpatico quasi quanto Giuseppe Conte che non ha preso parola in Aula, salvo annunciare a margine un dl sul salario minimo. Argomento usato dall’ “interrogante”, come Meloni ha chiamato la segretaria del Pd. 


Il duello da mezzogiorno di fuoco alla fine non c’è stato, anche perché il question time si è svolto dopo pranzo. Le due protagoniste sono diverse. Schlein ha atteso di intervenire rimanendo quasi sempre  immobile nel suo scranno (a sinistra la capogruppo Debora Serracchiani, a destra la vicepresidente del Pd Chiara Gribaudo). Una statua di cera. Concentratissima. Unica concessione: qualche sorso di acqua  in brick di cartone. Meloni, stretta fra il pacioso Tajani e l’iperattivo Salvini, per l’appuntamento ha chiamato tra i banchi tutto il governo (disposto prima dell’arrivo della premier, unico ritardatario Gennaro Sangiuliano che è rimasto per un po’ in piedi salvo accomodarsi altrove).  

Prima di assistere a questo botta e risposta e replica, Meloni si è scaldata con il resto delle opposizioni. Un continuo rilancio davanti alle accuse con tempi scenici ben studiati e torcida di Fratelli d’Italia scatenata. Strali contro chi “calunnia il governo” e contro “chi non dice nulla verso la mafia dei trafficanti di esseri umani”. Va detto che comunque la bolgia di un tempo, da quando in questa legislatura è diminuito di un terzo il numero dei deputati, non c’è più. E quindi anche il folclore da stadio ne ha risentito.

Il Terzo polo con Luigi Marattin ha provato a stanarla sul Mes con la metafora del defibrillatore che va messo a bordo campo prima di aspettare il cambio degli schemi delle squadre di gioco. E poi il M5s che con Francesco Silvestri ha cercato di creare un caso sui mutui, ricevendo risposte sui danni del Superbonus “gratuito” e una replica sulle soluzioni che si possono trovare subito senza fare il giro del globo terracqueo (tormentone meloniano uscito fuori dalla memorabile conferenza stampa di Cutro). Poi alle 16 ecco la segretaria del Pd. Si alza in piedi. Si nota la giacca chiara su camicia a fantasia: frasi dritte su precarietà, sud, giovani, italiani più poveri, il problema della natalità e dei congedi. Schlein chiude citando il libro di Marta Fana (“Non è lavoro, è sfruttamento”). Meloni risponderà in maniera altrettanto pacifica, scatenando i suoi sul fatto che è contro il salario minimo e che soprattutto se gli italiani si sono impoveriti è colpa di chi ha governato negli ultimi dieci anni.

E cioè, salvo piccola parentesi, del Pd. Applausi, qualche urletto. Poi ecco la replica della segretaria dem che dice alla premier: lei è al governo, io all’opposizione. Insomma, bisogna guardare avanti. Meloni la osserva. A volte si gira verso Tajani. E poi verso Salvini.  Si tiene il mento nel palmo della mano. Sbuffa quando la segretaria del Pd le dice che “è ossessionata dai migranti, ma non dai nostri ragazzi che emigrano”.

C’è un momento di trambusto finale quando  la nuova inquilina del Nazareno cavalca le discriminazioni delle coppie omogenitoriali. Fratelli d’Italia esplode, la “capa” fa segno di stare buoni (momento Maurizio Costanzo). Le due evitano di darsi addosso, si concedono piccole cortesie. Sono speculari l’una all’altra. A fine match, anche se non è stato un match, Meloni rivendica con “orgoglio” le scelte fatte finora dal suo esecutivo. La segretaria del Pd dice che è andata benissimo: il gioco del “prima c’eravate voi” non funziona, perché lei si sente “nuovissima”. Ma ritorniamo ai due “secondi” di questa partita, i co -protagonisti, gli alleati irrequieti.

Conte dirà che “Elly ha sbagliato quesito e che non ha messo in difficoltà il governo” e poco importa se ha provato a mettere il cappello sul salario minimo grillino. Conte interverrà “come si  deve” il prossimo 22 marzo durante le comunicazioni per il Consiglio europeo (con una risoluzione anti armi all’Ucraina). E Salvini? E’ appena andato via. Mentre “l’amica Giorgia” parlava in Aula, il leader della Lega annunciava ai giornalisti che oggi in Cdm andrà il Ponte sullo stretto e in mattinata se n’era uscito con una bordata contro la Cgil, il sindacato che domani ospita la premier a Rimini.  
Simone Canettieri    

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.