Perché le ambiguità di Schlein sulla guerra allarmano le ambasciate occidentali

Valerio Valentini

"C'è una certa preoccupazione", dicono i diplomatici di Zelensky. A Via Veneto, sponda statunitense, si lavora per un colloquio con la neo segretaria. Che, intanto, si fa istruire da Prodi. Il nodo del nuovo responsabile Esteri del Pd. E Conte prepara la trappola in Parlamento

L’ansia che è diffusa un po’ dovunque, negli uffici diplomatici occidentali di stanza a Roma, è all’ambasciata ucraina, e non è un caso, che prende consistenza chiara: “Sì, una certa preoccupazione per il possibile cambio di linea del Pd esiste, il che sarebbe un problema per noi”. Sono le stesse inquietudini che si registrano, ma pronunciate sottovoce, a Via Veneto o a Villa Farnese: dispacci arrivati già nelle scorse ore al Nazareno, recepiti da un Enrico Letta che certo era stato attentissimo, e irremovibile, a seguire il sentiero atlantista. Una fermezza che è fatta di voti e di atti concreti, certo, ma anche di limpidezza semantica, di rinuncia ai distinguo, alle ambiguità.

Che è poi la stessa dottrina con cui Elly Schlein, chiamata ora a scegliere quale declinazione dare all’atlantismo del Pd, è stata catechizzata negli scorsi giorni da Romano Prodi, che pure certo non è un seguace della cieca ortodossia filoamericana. Perché nelle feritoie della retorica pacifista s’insinuano i tentennamenti, di lì gli incidenti in Parlamento possono arrivare. Specie se il tuo alleato potenziale è quel M5s che, proprio sentendosi insidiato sul terreno della sinistra identitaria, proverà a stanarti a breve in Aula con una mozione. E’ questo il mandato di Giuseppe Conte. “Noi crediamo sia doveroso che tutto il Parlamento si assuma le sue responsabilità, sull’invio delle armi”, spiega la deputata Vittoria Baldino.

E’ a quella strettoia che Schlein sarà chiamata ad abbandonare ogni doppiezza. Ma c’è di più, ad allarmare le cancellerie. C’è che una defezione del Pd produrrebbe uno scivolamento dell’intero Pse, a Bruxelles, su una posizione accomodante con Putin. Per questo Schlein, molto apprezzata dagli spagnoli e dalla stessa leader del Pse Iratxe Garcia, resta un’incognita a Parigi o a Berlino. Forse per questo Enzo Amendola ricorda che “sull’Ucraina si giocano gli equilibri del mondo, non quelli del Pd”. E infatti all’ambasciata di Via Veneto, oltreché a quella ucraina, attendono con ansia un colloquio con Schlein. Ci si sta già lavorando. Qualcosa si capirà dopo la formazione della segreteria: e certo i nomi che girano come possibili responsabili Esteri – Boldrini, Scotto, Palazzotto – rischiano di non rassicurare in questo senso.

E si capisce, allora, perché tra i maggiorenti della mozione Schlein ci sia chi provi a sottrarre ogni alibi a quanti, tra i riformisti, già paventano inciampi. “Ciò che deve cambiare non è la linea del Pd sull’Ucraina, ma la sorte della guerra”, riflette Peppe Provenzano. E nelle telefonate che non solo Dario Franceschini, ma anche Nicola Zingaretti ha fatto per rassicurare il fronte gueriniano, il tema della guerra era ricorrente. Pure Andrea Orlando predica cautela: ché certo non si può pretendere che Schlein smentisca le tesi che l’hanno portata al trionfo dei gazebo, ma che sarebbe  disonesto andare a cercare in ogni sua frase l’indizio di un cedimento al putinismo. Che poi alcuni dei suoi fedelissimi sollecitino esponenti di Base riformista ad attrezzarsi “per contenere Schlein”, in una raffinata logica di dissimulazione, è forse il segno che un po’ tutti, tra i dirigenti più navigati del Pd, ritengano che sia salutare inviare alla neo segretaria un messaggio preventivo. Sull’Ucraina meglio non scherzare. 
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.