Festeggiamenti della Lega davanti al Pirelli con Attilio Fontana (Lapresse)

Centrodestra di lotta

Meloni conquista Lazio e Lombardia. Ma il Cav. le rovina la festa

Simone Canettieri

Vincono Rocca e Fontana. FdI traina, Salvini regge e ora i meloniani dicono: "Ce ne freghiamo di Berlusconi". Alla fine però, nemmeno Forza Italia si lamenta. Si festeggia ma divisi: tutti hanno in mente trincee diverse

“Ma non riusciva nemmeno a parlare, povera”. Reazione somatica all’ennesima uscita di Silvio Berlusconi a favore di Putin? “Macché, febbre vera”. Ma come pensate di convivere con un leader della maggioranza che vi fa il controcanto sulla guerra, non proprio un dettaglio? “Bisogna fregarcene, e andare avanti. Gli italiani oggi hanno dimostrato di credere in noi, no?”. Cerchi Giorgia Meloni, trovi Arianna, la sorella madre. Impegnatissima a dispensare baci, ma anche rassicurazioni sulla salute della premier qui nel Salone delle Fontane, tra i cari palazzi razionalisti dell’Eur. Tutto molto sottotono, tutto molto già scritto. Nel Lazio Fratelli d’Italia traina il centrodestra senza annichilire gli alleati. Stessa cosa in Lombardia dove quota 30 per cento rimane un miraggio, e la Lega lotta. Vincono, con un’astensione record, Francesco Rocca (49 per cento) e Attilio Fontana (56). E nessuno d’altronde avrebbe scommesso un euro sul contrario. Con il turno unico e l’impossibile e fantomatico campo largo, spaccato come la mela di Guglielmo Tell, è bastato contare i voti nell’urna. Hanno fatto tutto gli altri  (Pd, M5s, Terzo polo) per non scendere nemmeno in campo. 

 

E però la giornata invece di raccontare la tenuta della Lega nel Lazio, il super galleggiamento di Forza Italia in Lombardia gira tutta intorno alle parole di Silvio Berlusconi su Zelensky, datate sì di ventiquattro ore, ma ancora prorompenti. “Ognuno si sceglie gli amici che si merita”, dice per esempio Francesco Lollobrigida, ministro della real casa, spedito qui in una maratona permanente con radio, tv, siti, cronisti per ribadire che la linea del governo sulla guerra  non cambia. Parlano gli atti, che “gli amici della Nato conoscono bene”. Parlano i fatti “che in Ucraina tutti ci riconoscono”. E dunque ecco che il viaggio della premier nella terra invasa dai russi si farà, prima del 24, anniversario della “missione speciale” voluta da Putin. Nulla cambia. Se non una certa voglia di eliminare i rumori di fondo che si chiamano Silvio Berlusconi “non proprio facile da silenziare”. 

 

Più giornalisti che politici, questo sì. Il salone che ospita il comitato di Rocca ha un palcoscenico con due grandi schermi ai lati. Proiettano le dirette delle tv e i dati dei seggi (alle 15.05 è già tutto finito). Di tanto in tanto appare in versione XXL la faccia di Antonio Tajani, ministro degli Esteri di Forza Italia, sottoposto a un tour de force mediatico per ribadire che nonostante il suo Cav., Forza Italia la pensa diversamente. “È uno scudo umano, è un gran ministro”, sghignazzano i big di FdI, veri padroni della scena che stazionano davanti al buffet di Palombini, bar iconico e meloniano di Roma sud. “Silvio è riuscito a far parlare di sé, oscurando le regionali: strategia chiara”, ammette Nicola Procaccini, già tra i papabili candidati governatori nel Lazio, rimasto però a fare l’europarlamentare a Strasburgo. “Mi dissocio da Berlusconi: scrivetelo!”, dice Fabio Rampelli, altro capo del partito che per un giorno sembra aver sotterrato l’ascia di guerra contro i suoi figli così irriconoscenti. “Un prete che conosco, da sempre di centrodestra, mi ha detto che questa volta ha votato Forza Italia perché è a favore della pace: vi rendete conto? Noi siamo per la pace e per la libertà”, si sfoga Chiara Colosimo, contessina della generazione Atreju, quella che si è presa il partito. 

 

Si vedono tutti: Giovanni Donzelli, Paolo Trancassini, Massimo Milani, Isabella Rauti, candidati di Frosinone e di Viterbo, i litigiosi romani. Tutti di Fratelli d’Italia. Per intercettare gli alleati occorrerà attendere l’arrivo di Francesco Rocca, il neo presidente. Spunteranno Maurizio Gasparri e un soddisfatto Claudio Durigon, che di primo pomeriggio ha portato un drappello di leghisti sotto al palazzo della regione Lazio per sventolare le bandiere di Alberto da Giussano. “La versione governativa di Salvini ha funzionato: il basso profilo e il lavoro ci hanno portato consensi”. Dunque Salvini fa bene a rimanere a tenere a bada i cantieri? Segue risata dell’imponente sottosegretario al Lavoro. Rocca si palesa intorno alle 18, quando quel poco di adrenalina che ci aveva accolto all’ingresso era terminata da tre ore. Nel salone già si parla di giunta da un bel po’ (Roberta Angelilli o Giancarlo Righini si contenderanno il posto di vicepresidente, più la prima del secondo). A conti fatti le urne stabiliscono un indirizzo chiaro: senza Fratelli d’Italia non esiste il centrodestra. Nel Lazio il partito di Meloni si attesta sopra i risultati delle ultime politiche (33), Lega e FI restano stabili. In Lombardia il muro del 30 per cento non è stato buttato giù, ma ormai il Pirellone non è più del Carroccio che però acquista consensi rispetto a settembre. Non si lamenta nemmeno Forza Italia. Si festeggia divisi. Tutti hanno in testa trincee diverse.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.