Roberto Calderoli (Ansa)

cosa non torna

Il finanziamento dei Lep e il vincolo di bilancio. I problemi del ddl Calderoli sulla Autonomia

Massimo Bordignon, Leonzio Rizzo e Gilberto Turati

La legge proposta dal ministeo leghista, sul punto relativo alle risorse economiche  attraverso cui definire e raggiungere i Livelli essenziali delle prestazioni, è contraddittorio. E rischia di creare problemi enormi ai conti dello stato. Ecco perché

Lo scorso 2 febbraio è stato approvato dal Consiglio dei ministri il nuovo disegno di legge sull’autonomia differenziata presentato dal ministro Roberto  Calderoli. La legge si propone di definire le procedure per la concessione da parte dello stato alle regioni a statuto ordinario che dovessero chiederle “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” su alcune funzioni di spesa specificamente indicate dalla Costituzione. Come noto, queste includono sia tutte le cosiddette materie concorrenti elencate al terzo comma dell’articolo 117, sia le tre materie di legislazione esclusiva dello stato, lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s) riferite al secondo comma. Si noti che sulle materie concorrenti le regioni hanno già potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali che spettano in ogni caso allo stato. Così come spetta allo stato la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, i famosi Lep (Livelli essenziali delle prestazioni).

Proprio la definizione e la stima dei Lep è la chiave di volta della costruzione di Calderoli: alla definizione dei Lep si associa la garanzia di eguaglianza tra territori, tant’è che nella proposta di legge a questa definizione si subordina l’implementazione delle intese tra stato e regioni e la devoluzione delle funzioni. La definizione dei Lep, assieme a quella dei costi (standard) necessari per fornirli, dovrebbe permettere di determinare il fabbisogno di risorse (standard) necessario per finanziarli in ciascuna regione. Si tratta di stime assai complesse e che richiedono informazioni dettagliate che andrebbero presumibilmente raccolte, come si è visto nel caso dell’analogo processo di definizione di fabbisogni standard per i comuni. Pare francamente difficile che sia possibile poter liquidare la definizione dei Lep nello spazio di pochi mesi con un Dpcm, come proposto dal disegno di legge e dalla legge di Bilancio per il 2023. Ma ipotizziamo pure, come fa il disegno di legge, che si possano stimare facilmente i Lep per quelle funzioni (da individuare) per le quali sia necessario tutelare “i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. 

Il problema è dove trovare le risorse per finanziarli. Da questo punto di vista, lo schema Calderoli è contraddittorio. Da un lato, l’articolo 4 del disegno di legge è chiaro nello stabilire “che qualora dalla determinazione dei Lep … derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, si potrà procedere al trasferimento delle funzioni solo successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento”. Dall’altro lato, l’art. 8 al primo comma dice che dall’applicazione della legge e delle conseguenti intese “non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica” ed infine, al terzo comma, che è garantita “l’invarianza finanziaria … per le singole Regioni che non siano parte dell’intesa”.

Cosa succede dunque se, per esempio, la stima dei Lep per le regioni che stipulano le intese conduce ad un fabbisogno di risorse superiore a quelle attualmente impiegate dallo stato (la cosiddetta “spesa storica”) per fornire gli stessi servizi nella regione? In questo caso, prendendo alla lettera il ddl di Calderoli, le risorse aggiuntive rispetto allo storico dovranno essere trovate all’interno del bilancio dello stato, o aumentando le aliquote sui tributi erariali o riducendo la spesa dello stato da qualche altra parte. Aumentare le imposte erariali sembra assai difficile vista la già elevata pressione fiscale ed è comunque in conflitto con la filosofia del presente governo. Dunque, si dovrebbe ridurre la spesa. Ma quale spesa? Sempre prendendo sul serio il ddl Calderoli, la spesa per i Lep nelle altre regioni non può essere ridotta. Dunque, lo stato dovrebbe agire sulla propria spesa residua, le funzioni di competenza esclusiva dello stato elencate al primo comma dell’articolo 117. Ma queste includono servizi assai rilevanti quali giustizia, previdenza sociale, ordine pubblico e sicurezza, perequazione delle risorse finanziarie. Sembra una strada impercorribile. 

 

E’ facile vedere che gli stessi problemi si porrebbero nel caso in cui si concludesse che la spesa storica in alcune regioni che chiedono l’autonomia è superiore a quanto sarebbe necessario secondo le stime dei fabbisogni. In questo caso, si potrebbe quindi finanziare la devoluzione riducendo le risorse attribuite a queste regioni, visto che comunque per le altre regioni che non siano parte delle intese deve garantita l’invarianza finanziaria. Ma è realistico immaginare che si possa finanziare la devoluzione tagliando di punto in bianco le risorse a qualche regione? Anche questa strada sembra impercorribile.

La conclusione, dunque, è che nonostante tutto quello che c’è scritto nel ddl Calderoli, l’attuazione del federalismo differenziato avverrebbe con tutta probabilità a “spesa storica”, cioè implicitamente assumendo che quanto lo stato nazionale spende ora per le funzioni Lep sia esattamente quanto necessario per finanziarli. Del resto, questo è quanto successo nel caso della sanità, una funzione già regionalizzata, dove esistono i Lep (chiamati Lea in questo contesto), ma dove lo stato definisce ogni anno il finanziamento del “fabbisogno sanitario nazionale standard” sulla base delle proprie compatibilità di bilancio, allocandolo poi alle regioni senza tener conto dei Lea e della differente capacità delle regioni di offrirli sul proprio territorio.

Di fatto quindi, tenendo conto dei vincoli finanziari discussi, il ddl Calderoli non può che realizzare una devoluzione delle funzioni a “spesa storica”. Pur in quest’ultimo caso, di nuovo, a prendere sul serio il ddl, parrebbe che la spesa delegata a ciascuna regione, debba essere finanziata con compartecipazioni (differenziate?) ai tributi erariali incassati nella stessa regione, lasciando alla dinamica futura delle basi imponibili di garantire il finanziamento dei servizi, un po’ come già succede oggi per alcune regioni a statuto speciale. Ma, siccome è ragionevole pensare che la dinamica futura dei gettiti compartecipati possa essere molto diversa tra regioni, questo modello di finanziamento creerebbe problemi enormi al bilancio statale. Senza un meccanismo di perequazione interregionale che redistribuisca continuamente le risorse, il bilancio pubblico sarebbe chiamato continuamente a intervenire per sostenere le regioni i cui gettiti compartecipati dovessero risultare insufficienti a finanziare i servizi Lep. Sembra la ricetta per un disastro finanziario annunciato, le cui macerie finirebbero peraltro sulle regioni più ricche. Forse sarebbe utile che ci si interrogasse rapidamente e responsabilmente su questo, su un meccanismo che possa garantire una convergenza negli standard di servizio, piuttosto che su come definire puntualmente i vari Lep.