il caso

Donzelli rivela segreti su Cospito e mafia, e inguaia Nordio e Meloni

Valerio Valentini

Lui cerca giustificazioni: "Ho buona memoria, potrebbe avermelo riferito qualcuno". Ma il fedelissimo della premier fa un pastrocchio a Montecitorio che impone inquietanti interrogativi sul ministero della Giustizia: da chi ha avuto le carte riservate sul leader anarchico in carcere? L'irritazione di Palazzo Chigi. E il Guardasigilli apre un'inchiesta

L’ultima spiegazione, fornita alle sei del pomeriggio, suona così: “Siccome ho una buona memoria, potrei anche averne sentito parlare”. Prego? “Qualcuno potrebbe avermelo riferito”. Qualcuno? Potrebbe? A quel punto Giovanni Donzelli, l’uomo del giorno, alza le mani: “Basta, non stiamo a filosofeggiare. Resta agli atti quello che ho detto in Aula”. Solo che in Aula, il deputato di FdI, plenipotenziario del partito, fedelissimo di Giorgia Meloni, di recente scelto come commissario romano, ha dato un’altra versione. E ha detto, cioè, che quell’intercettazione inedita di colloqui tra Alfredo Cospito e un killer di ‘ndrangheta, Franco Presta, e tra lo stesso anarchico e un boss dei casalesi, Francesco Di Maio, l’ha avuta con una semplice richiesta di accesso agli atti.

“Questi documenti – aveva detto poco prima Donzelli – sono depositati al ministero della Giustizia, consultabili da qualsiasi deputato, non sono coperti da alcun segreto e sono stati inviati al ministero della Giustizia dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”. Ed è una precisazione, questa, che s’era resa necessaria dopo una giornata di cagnara furibonda, a Montecitorio, nella quale aveva preso consistenza pure il sospetto che il deputato meloniano avesse rivelato atti riservati arrivati dal Copasir, il Comitato parlamentare sui servizi segreti di cui Donzelli è vicepresidente. “Assolutamente no. E se così fosse, dovrei dimettermi”, riconosce lui stesso. 

E però, allora, l’incognita resta. Ed è un enigma che è, di per sé, assai più inquietante delle già scombiccherate frasi pronunciate  da Donzelli, quelle per cui il Pd, nel chiedere di sospendere il 41-bis per Cospito, faccia gli interessi dei mafiosi. La tesi di Donzelli si sviluppa intorno a un fatto riservato, e qui sta il punto. E cioè che negli stessi giorni in cui l’attentatore anarchico riceveva in carcere le visite di esponenti del Pd, preoccupati per il suo stato di salute, teneva anche colloqui con criminali patentati condannati pure loro al carcere duro. Uno, lo ‘ndranghetista Presta, il 28 dicembre scorso lo esortava a perseguire nella sua battaglia contro il 41-bis. L’altro, il casalese Di Maio, le stesse raccomandazioni gliele faceva il 12 gennaio scorso. Il tutto con tanto di sbobinatura, parola per parola, declamata da Donzelli in Aula. Il tutto, negli stessi minuti in cui il ministro Carlo Nordio, con Matteo Piantedosi e Antonio Tajani, in conferenza stampa, sta spiegando le ragioni del governo sulla linea della fermezza sul caso Cospito, col Guardasigilli che, a specifica domanda, risponde escludendo “in via assoluta” qualsiasi rapporto tra le visite in carcere da parte di deputati e senatori e le rivendicazioni mafiose (“Anzi, il solo domandarmelo è provocatorio”).

E insomma ce n’è abbastanza per sollevare un caso politico. Perché quei colloqui, essendo avvenuti nel carcere di massima sicurezza di Sassari, possono ragionevolmente essere stati registrati dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (il Dap), che riferisce direttamente, e in via esclusiva, al ministro. “Solo il Guardasigilli è titolato a ricevere simili intercettazioni non processuali”, spiega Andrea Orlando, che a capo di Via Arenula c’è stato per quattro anni. Al Dap è inutile chiedere spiegazioni: interpellato, il suo capo, Giovanni Russo, preferisce non commentare. E dunque chi è stato a consegnare quelle carte a Donzelli? Qualcuno dal ministero? Nordio, nel dubbio, ha annunciato di aver avviato un’indagine interna, tramite il suo capo di gabinetto, Alberto Rizzo

Di certo, in questa fumosa vicenda, c’è il rapporto di assoluta confidenza tra Donzelli e Andrea Delmastro, il sottosegretario meloniano alla Giustizia che dal 16 dicembre scorso ha la delega al Dap. E allora perfino la condivisione di un appartamento in centro a Roma da parte dei due dirigenti della Fiamma diventa un supposto indizio a sostegno della tesi apparentemente più ovvia: che proprio da Delmastro, insomma, Donzelli possa avere avuto questi documenti riservati. E pure con Delmastro, ovviamente, dovrebbe chiarire: se non fosse che pure lui si nega. Tanto basta, dunque, per giustificare la richiesta trasversale da parte delle opposizioni perché Nordio stesso riferisca in Aula (l’informativa è stata fissata per oggi alle 16). E tanto basta anche perché ci sia chi, come Maria Elena Boschi, pretenda le dimissioni di Donzelli dal Copasir.

E si spiega così anche l’irritazione ostentata, sia pure in forma anonima, da mezzo governo. “Giovanni è un mitomane”, sbuffano dai vertici di FdI, dove raccontano di una Meloni furiosa col suo fedelissimo. Il quale, però, la tesi per cui l’azzardo compiuto sia frutto di una sua mera iniziativa personale, la liquida con un ghigno. “Ma vi pare? Sono il responsabile del partito. Il capogruppo Foti ha ribadito la mia posizione. Vi sembro isolato?”. A giudicare dagli abbracci che il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, gli tributa coram populo in Transatlantico, si direbbe di no. “Piena solidarietà”, scherza. Anche se, a metà mattinata, quando dall’alto è arrivato l’ordine di scuderia di uscire tutti a difesa di Donzelli, una pattuglia di deputati s’ammutina: “Non esiste”. Di lì, poi, la lunga teoria di spiegazioni da parte di Donzelli: e ogni volta più rocambolesca, ogni volta in contraddizione con la precedente. Perché se davvero è stato fatto un regolare accesso agli atti – ohibò – ci sarà pure un documento che lo attesta, no? “Certo”, dice Donzelli. E sarà dunque possibile visionarlo, allora? Ed è qui che arriva l’ultima versione. “Siccome ho una buona memoria, potrei anche averne sentito parlare, qualcuno potrebbe avermelo riferito”. Qualcuno? Potrebbe? Mistero.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.