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La svolta di Meloni sul Mes innesca tensioni nel centrodestra

Valerio Valentini

Cortocircuiti sovranisti. La ratifica del trattato contraddice anni di stramba propaganda di FdI. I video che imbarazzano la premier. Nella Lega c'è chi le ricorda le sue vecchie posizioni, con Borghi e Bagnai che già annunciano voto contrario in Aula. L'esatto opposto di Forza Italia, che si compiace dell'abiura: "Finalmente, avevamo ragione noi"

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Ora dice che “il tema della riforma del Mes non è il grande tema”. E quanto però sia temerario, il candore con cui Giorgia Meloni afferma questa apparente banalità, lo rivela un deputato leghista che nel cortile di Montecitorio mostra un video d’antan. Eccola, l’allora capa di FdI, prendere, furente, la parola in Parlamento: “Sottoscrivo le parole del collega Claudio Borghi. Con questa riforma, una nazione come l’Italia accetta di versare miliardi per salvare le banche tedesche in vista della Brexit”. Era il 28 novembre del 2019. Tre anni dopo, la svolta, per la premier, è  obbligata. Troppo alto il rischio di compromettere, con una cocciuta opera di sabotaggio sul Mes, il resto delle partite europee, a partire dal Pnrr. Ma è talmente rocambolesca, la capriola, che rischia di non essere indolore.

Dallo staff di Matteo Salvini, ieri, dispensavano serenità: “Siamo come sempre d’accordo con la presidente!”. Uno zelo che tradisce i timori per il montare del risentimento nell’ala barricadera del partito. Quella che appunto, con Borghi e Bagnai, ha già fatto sapere di non aver cambiato idea, che in Parlamento “occorrerà votare no alla ratifica”. All’opposto di chi, in FI, rivendica invece il merito di aver indicato per tempo la strada. “Non ho mai dubitato che, da premier, Meloni avrebbe detto che la ratifica del Mes non è un problema: questo non può che farmi felice”, sorride Giorgio Mulè. “E’ la conferma che avevamo ragione a dire che si poteva procedere senza correre i rischi della troika. Perché ratificare non significa pigliare…”.

E l’imbarazzo della Meloni starà proprio in questo, ora. Nel suo dover condividere il buon senso di Mulè, ma nell’essere idealmente assai più vicina a Borghi. Perché, negli anni, la leader di FdI ha sempre condannato la riforma del trattato di per sé. “Ci sono rischi enormi che l’Italia corre solamente per il fatto di sottoscrivere questo trattato, indipendentemente dalla possibilità che vi si acceda”, diceva il 9 dicembre del 2019, durante una manifestazione convocata davanti al Parlamento europeo per “dire ai signori di Bruxelles che l’Italia non è il bancomat d’Europa”. Perché, insisteva Meloni, “qui si credono che siamo cretini”. E invece a le non la si faceva mica: “E’ chiaro che con questa modifica – quella, cioè, che ora andrebbe ratificata – il Mes diventa un meccanismo perverso: una resa incondizionata dell’Italia agli interessi della Germania”. Il 2 dicembre del 2019, durante il dibattito in Aula sul via libera da parte del governo Conte alla riforma del Mes in sede europea, Meloni intervenne così: “Con questa riforma, i risparmi degli italiani sono tutti a rischio. Conte ha dato l’ok a una riforma su cui l’Italia ha tutto da perdere in cambio della benedizione delle consorterie europee”. Chissà che a risentirle oggi, quelle parole, Meloni non avrà una sensazione strana: come di chi abbia rimproverato ad altri cose che ora sta per fare in prima persona.

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