Foto di Alessandra Tarantino, AP Photo, via LaPresse 

misteri irrisolti

Pd, M5s e Calenda litigano su tutto, ma su una commissione d'inchiesta sul caso Orlandi sono d'accordo

Salvatore Merlo

Avanza l'ennesima proposta, su vicende di quarant'anni fa. Un classico italiano: dopo quella sulla strage di Ustica, di Bologna, l'Italicus e tante altre a non finire. Ogni volta si ricomincia da capo. Ed è l'unica cosa che mette d'accordo le forze politiche

Ci sono i magistrati che non risolvono i casi giudiziari, ma li fanno risolvere ai protagonisti dei loro romanzi – perché l’inquirente giusto in Italia esiste solo nella letteratura gialla, come il Montalbano di Camilleri – e ci sono poi i politici che litigano su tutto, ma alla fine sempre si ritrovano affratellati nella fiction noir. E dunque, come mosche, ronzano attorno al sangue.  Se infatti non ci fossero di mezzo le famiglie, la sofferenza e la tragedia, ci sarebbe soltanto da opporre un sorriso amaro alla notizia che ieri Pd, M5s e Azione hanno promosso l’ennesima Commissione d’inchiesta parlamentare, stavolta però non sulle responsabilità della gestione della pandemia, o sulle banche, bensì sulla sparizione di Emanuela Orlandi, di Mirella Gregori e sull’omicidio di Simonetta Cesaroni.

 

I familiari sono alla ricerca della verità e della giustizia da quarantanni, ma adesso finalmente arrivano Roberto Morrasut del Pd, Stefania Ascari del M5s e Carlo Calenda, i promotori della commissione d’inchiesta,  e sarà tutto chiaro. Ci sarebbe da sorridere, si diceva. Sul serio si può ancora una volta affidare la giustizia ai maccheroni? A Calenda, che la settimana scorsa ha visto una fiction su Netflix e dunque ora ne vuole girare una lui a Montecitorio? Il problema è che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sulle commissioni d’inchiesta. Monumentali relazioni, ciclopiche ricostruzioni, stordenti conclusioni, centinaia e addirittura migliaia di pagine che passano al Vetril ogni mistero, ogni fatto solo apparentemente chiaro della storia patria, partendo, diciamo, dalle origini massoniche del Risorgimento per arrivare ai veri e inafferrabili mandanti dei delitti compiuti alla fine degli anni Settanta. Senza mai ovviamente capirci un tubo. E si va avanti così da decenni.

 

E infatti fra le tante meraviglie naturali e artistiche che rendono unico il nostro paese, un posto di notevole rilievo spetta proprio alle commissioni d’inchiesta. È noto che l’Italia vanta la più alta percentuale di commissioni d’inchiesta del mondo occidentale, roba che meriterebbe di entrare nelle guide del Touring o, chissà, nel Guinnes dei Primati. La commissione sullo scandalo Lockheed del 1977, sul caso Sindona del 1980, sulla P2, sui fondi neri dell’Iri, lo scandalo Telekom Serbia, l’affaire Mitrokin, la strage di Ustica e quella di Bologna, l’Italicus… una fiera infinita di audizioni, rivelazioni, botti e pernacchie, di cui non si è capito mai nulla. Zero. D’altra parte nel 2018, dopo appena quarantaquattro anni dai fatti, è stata prodotta la terza relazione “definitiva” (ma mai dire mai) sul rapimento e l’assassinio di Aldo Moro del 1978. Che almeno ha un merito. Perché quella, al contrario di tutte le altre commissioni d’inchiesta, che di solito producono pessimi film e orrenda letteratura, diede invece modo a Leonardo Sciascia di scrivere quel capolavoro d’indeterminatezza novecentesca che era “l’Affaire Moro” (Adelphi).

 

D’altra parte una commissione d’inchiesta italiana è un’opera d’arte, una fantasmagoria dai mille cangianti colori. E ogni volta, a ogni commissione, ovviamente, anche quei pochi fatti che sembravano per una volta certi, risultano invece ancora meglio smentibili, revocabili, tanto da suscitare altri ingarbugliamenti, più fiere sospettosità, vaste nubi di nuovo gas. Se i nostri parlamentari entrano in campo, c’è una sola certezza: confusione e farsa sono dietro l’angolo. Proprio sicuri che De Gasperi non fosse un agente della Cia e Papa Francesco del Kgb? Vittorio Emanuele era il figlio del re o dello stalliere? E il bandito Giuliano chi l’ha ucciso?

 

Così, quando socchiudendo gli occhi pensiamo alle commissioni di inchiesta, ce le raffiguriamo un po’  come le guglie del duomo di Milano al tramonto, come i muraglioni di Lucca contro un cielo pervinca: che varietà, che ricchezza, e che stupefacente durata. Calenda non vuole stare con i grillini, i grillini non vogliono stare con Calenda, il Pd è indeciso tra i due. Questi non si prendono e non si toccano mai. Tranne per una cosa: dai, perché non organizziamo un’altra bella commissione d’inchiesta?

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.