Lega Ddr

Salvini si sta perdendo pure la Sicilia. Il suo segretario regionale vuole lasciare

Paolo Mandarà

Nino Minardo, eletto presidente della Commissione difesa, pronto a rimettere il mandato. Non riesce a mitigare il malessere della base (smarrita dopo l'arrivo dei transfughi)

Anche le tavolate che accolgono Matteo Salvini, ogni volta che si ritrova a Palermo per un’udienza del processo Open Arms, sono sempre più sciape (ha attaccato sul Pos: "Io sono un liberale, ognuno deve essere libero di pagare come vuole. Se uno vuole pagare due euro il caffè con la carta di credito è solo un rompipalle"). Nell’ultima foto di gruppo, assai sgranata, il Capitano è sull’estrema destra. Abbracciato a nessuno. Mentre al centro manca Nino Minardo, l’attuale segretario regionale del Carroccio, che negli ultimi mesi somiglia sempre più a un carretto. Claudicante per lo più.

 

Le difficoltà della Lega vanno accentuandosi pure in Sicilia. E non bastano le visite frequenti del Ministro alle Infrastrutture, e qualche foto opportunity, a riportare il sereno. Dalle elezioni comunali di Palermo, lo scorso giugno, il partito ha perso tono, uomini e vigore. Più poltrone sono arrivate, più si è spaccato in correnti. E da quest’andazzo fatica a tornare indietro.

 

Galeotto fu l’ingresso di Luca Sammartino, neo vicegovernatore regionale, che trattò il suo “approdo” in perfetta solitudine, infischiandosene delle gerarchie. Con una evidente, ricca contropartita da presentare al Capitano: gli oltre trentamila voti che nel 2017 lo portarono all’Assemblea regionale come primo degli eletti (in quota Pd). Cinque anni dopo, e nonostante una fugace apparizione coi renziani, i consensi di Sammartino sono rimasti tantissimi: ventimila. Gli sono valsi il primo scranno a fianco di Schifani, nonostante il presidente della Regione rivendichi la “continuità” con il governo Musumeci, di cui Sammartino era stato il più illustre dei detrattori.

 

La sua presenza, per altro, è sempre stata vista con sospetto dall’attuale (per poco?) segretario, che dal 2020 - dopo la parentesi di un papa straniero (il senatore Stefano Candiani) - ha cercato di aprire la Lega al civismo, aggregando moderati ed ex democristiani. E federandosi con gli Autonomisti dell’ex governatore Lombardo. La missione di Minardo - un partito “inclusivo e terrone” - è riuscita a metà e oggi, il conflitto tra vecchia guardia e new entry, lo dimostra. “A fronte dei circa 43.500 voti ottenuti dagli eletti, ce ne sono circa 86.000 ottenuti dai non eletti che meritano un giusto coinvolgimento nel governo della Sicilia”, ha riferito il segretario dopo aver marcato visita alla cena (nella versione ufficiale alcuni impegni lo avrebbero trattenuto a Milano).

 

Segno che il conflitto più palese è tra premiati e diseredati. Può annoverarsi tra i primi Mimmo Turano, neo assessore all’Istruzione e alla Formazione professionale, proveniente dal malcapitato Udc, che fece la tessera della Lega alla vigilia della presentazione delle liste, lo scorso agosto, e venne eletto grazie ai voti della sua Trapani, dov’era in lizza pure al Senato. Un altro arrivo dell’ultima ora. Un’altra conquista a scapito di chi c’era prima. Pesi e contrappesi, in questa fase, sono stati bilanciati male. E Salvini ha lasciato correre, come Berlusconi per la querelle tra Schifani e Micciché (che ha portato alla creazione di due Forza Italia: che imbarazzo).

 

La Lega, però, è un partito che non trattiene. Rilascia. Così anche la segreteria regionale potrebbe tornare in bilico. “Non ci credo a questa carboneria che sgomita per occupare potere di governo regionale e nel partito”, ha confermato Minardo, rimettendo ogni decisione nelle mani del capo. Il deputato di Modica, che ha da poco ottenuto la presidenza della commissione Difesa a Montecitorio, sarebbe disposto a farsi da parte, anche se “la competizione interna è un toccasana per tutti”. Ma è anche una grande iattura.

 

Non che una figura nuova sia garanzia di ripartenza. La brama di poltrone dei leghisti siciliani non è affatto commisurata ai risultati ottenuti. D’altronde, alle ultime Regionali, Prima l’Italia (è così che han chiamato la Lega per camuffarla di fronte ai pregiudizi) ha preso il 6,5 per cento, utile ad eleggere cinque deputati, e lasciare fuori altri campioni delle preferenze: a partire da Carmelo Pullara, che ha sfondato nella sua provincia (Agrigento), dove al Carroccio non è scattato il seggio. E Salvini? Spera di utilizzare il traino dell’Isola e costruire il Ponte, per poi plaudire a se stesso e alla classe dirigente siciliana che c’aveva sempre creduto. Anche quella un po’ a soqquadro del suo partito.