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"Servono dettagli, non catastrofismo". L'avvertimento di Bruxelles a Meloni sul Pnrr

Valerio Valentini

I funzionari della Commissione europea, in visita a Roma per vigilare sull'attuazione del Recovery, confermano che le modifiche al Piano potrebbero essere fatte, ma solo rispettando i regolamenti comunitari. Ma non per il 2022: per la fine dell'anno gli strumenti per compensare l'impennata dei prezzi ci sono

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La sintesi più efficace, per quanto brutale, l’ha consegnata due giorni fa ai funzionari del Mef uno dei componenti della delegazione di Bruxelles arrivata a Roma per vigilare sullo stato d’avanzamento del Pnrr. “Servono dettagli, non catastrofismo”. Questo il messaggio. Rassicurante e severo insieme. Perché se da un lato rinnova la disponibilità della Commissione a valutare eventuali modifiche al Piano italiano, dall’altro impegna il governo Meloni a proporle, quelle modifiche, con puntuale precisione, e non con vaghi proclami. Sapendo peraltro, e questo è l’altro avvertimento consegnato a Giancarlo Giorgetti dai tecnici di Ursula von der Leyen, che i cambiamenti andranno richiesti per l’anno prossimo: sugli obiettivi in scadenza a dicembre, invece, poche storie.

E non è solo una questione numerica, legata al fatto, cioè, che dei 55 obiettivi da conseguire nel secondo semestre del 2022, per la maggior parte si tratta di riforme da varare, a fronte di soli 16  target, cioè progetti su cui in effetti le dinamiche dei prezzi per assegnare gare e aprire cantieri possono avere un impatto negativo. E anche in quel caso, almeno per i pochi affidamenti ancora in bilico fino a fine anno, per compensare l’effetto dell’inflazione si potrà ricorrere alle procedure speciali di revisione dei prezzi introdotte già a gennaio scorso col decreto Sostegni ter, oltreché attingendo al Fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche (55 milioni stanziati per l’anno in corso, poca roba), e per il ben più corposo Fondo per l’avvio delle opere indifferibili, voluto da Daniele Franco e Mario Draghi nel maggio scorso e che proprio pochi giorni fa, con un decreto  licenziato dal Mef, ha messo a disposizione 8 miliardi di euro per consentire di bandire le gare per le opere del Pnrr. Insomma, gli strumenti per evitare il fallimento immediato del Recovery, ci sono.

Dopodiché, certo, s’aprirà la partita per gli anni prossimi. Che passerà anzitutto dal varo del RePowerEu, il capitolo aggiuntivo del Pnrr pensato per la crisi energetica, a gennaio: proposte di investimenti e riforme complementari dovranno trovare anzitutto lì il loro spazio. Quindi, si verrà al nodo dell’eventuale revisione dei progetti contenuti nel Pnrr. Che questa possa essere dettata dalle conseguenze della guerra, è un’ipotesi che Bruxelles non nega affatto, se è vero che ha già fatto sapere di riconoscere l’invasione russa dell’Ucraina, e il conseguente aumento imprevisto dei prezzi come una “circostanza oggettiva che giustifica richieste di modifica del Piano”.

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Il tutto, però, seguendo precise linee guida già indicate dalla Commissione la scorsa estate, e non a caso richiamate dai funzionari di Bruxelles in visita a Roma anche nei colloqui di queste ore. Nel richiedere modifiche al Pnrr, dunque, “gli Stati membri sono tenuti a fornire una giustificazione nella quale si indicano: 1) le misure che non sono più realizzabili; 2) le circostanze oggettive che impediscono il raggiungimento dei traguardi e degli obiettivi; 3) il nesso diretto tra le modifiche proposte e le circostanze oggettive”. Dunque cambiare si può, ma cum grano salis e concordando tutto preventivamente con la Commissione: ecco perché le rimostranze fumose di chi, come Gilberto Pichetto, annuncia che il suo ministero dell’Ambiente “ha bisogna di 5 miliardi aggiuntivi per le opere del Pnrr, sennò bisognerà tagliarle”, non colgono nel segno. Né si rivela più rassicurante la fermezza  con cui Raffaele Fitto ha spiegato che “su asili e case di comunità” si potrebbero dover rivedere al ribasso gli stanziamenti. Perché, come spiega anche il regolamento del Next Generation Eu, le eventuali richieste di revisione non devono andare ad intaccare “i traguardi e gli obiettivi stabiliti”, modificando cioè in modo sostanziale la ripartizione dei fondi in proporzione alle varie missioni fondanti del Recovery, né possono indebolire “le riforme che danno seguito alle raccomandazioni specifiche per lo stato membro”. Ecco perché, ad esempio, le novità introdotte su tetto al contante e pagamenti digitali per puro fine elettoralistico potrebbero rivelarsi qualcosa di più, e di peggio, di un inciampo. 

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