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Sdoppiamenti dem

Schlein o non Schlein? Il dilemma che rende bifronte l’area di Franceschini

Marianna Rizzini

Nelle stanze del Nazareno si chiedono quale candidato appoggerà l'ex ministro della Cultura. "Si deve ripercorrere la storia del Pd, per capire che cosa pensano di fare i franceschiniani", dice un deputato dem 

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Il congresso del Pd si avvicina senza troppe certezze (a partire dai nomi dei candidati ufficiali), ma i dubbi, al momento, investono in particolare un grande classico delle fasi difficili e di cambiamento (specie se obtorto collo) nel partito, tanto più dopo una sconfitta elettorale: “Che farà Dario Franceschini?”, è infatti la domanda che ciclicamente si ripresenta nelle stanze del Nazareno quando si cerca di capire e di predire mosse e contromosse di questa e di quella corrente – e stavolta nonostante Stefano Bonaccini, candidato ufficialmente sceso in campo (oltre alla candidata già da tempo in corsa Paola De Micheli), abbia cercato di allontanare da subito ogni possibile collegamento con le medesime, viste anzi come peste bubbonica, a parole, anche da tutti i candidati possibili ma non ancora scesi in campo.

Epperò hai voglia a scansarle, le correnti, in un momento in cui si scruta l’orizzonte, nel Pd, per arrivare a decifrare il pensiero dell’ex ministro della Cultura, noto per non essersi fatto “mettere i piedi in testa da nessuno, attraverso i giusti spostamenti”, sintetizza un veterano dem. E insomma ci sono stati periodi in cui Franceschini, con tutta la sua AreaDem, a seconda dell’occhio che guardava e del momento, appariva un po’ renziano, un po’ lettiano, un po’ persino bersaniano, ma sempre restando altro dall’uno, dall’altro e dall’altro ancora. E adesso lo si considera pronto a sostenere Elly Schlein, ma non tanto per aderenza a tutto tondo allo Schlein-pensiero, quanto perché, dice un parlamentare Pd non distante dall’ex ministro, “è sempre meglio osservare e capire che cosa succede”. Ma fino a che punto? Dice il parlamentare: “Si parla di un momento di pericolo per il futuro del partito, quindi dobbiamo dare una dimostrazione di cambiamento inequivocabile”. Indizio “a contrario”: Bonaccini ha fatto capire di essere cosciente di non avere il sostegno dei gruppi dirigenti. Eppure, visti per esempio da Roma, i franceschiniani non appaiono così compatti sul tema e non tutti così a priori convinti di voler sostenere la candidata indipendente che piace alla sinistra.

Prendi per esempio Bruno Astorre, segretario regionale Pd nel Lazio. Interpellato, dice al Foglio di “non avere pregiudiziali su Schlein”, ma di “attendere per capire quale sarà la sua attenzione sui vari temi”. Non così Michela De Biase, neoeletta alla Camera, ex consigliera regionale e comunale e moglie di Franceschini: a lei Schlein piace a scatola chiusa. Ed ecco che un altro dubbio si fa strada: la corrente dell’ex ministro della Cultura si sta spezzando in due tronconi o è soltanto un modo, questo, per essere bifronti? “Si deve ripercorrere la storia del Pd, per capire che cosa pensano di fare ora gli uomini di Franceschini”, dice un deputato che voterà invece per Stefano Bonaccini, convinto che il governatore emiliano “spaventi per essere più innovativo di chi si presenta tale”. Lui, intanto, Franceschini, guarda. E, dice un insider, “seguirà gli appuntamenti del partito di questo fine settimana”. A partire da quello organizzato dal sindaco di Firenze a Roma, domani, ma con un occhio anche alla campagna itinerante del sindaco di Pesaro Matteo Ricci. “La necessità è far uscire subito il Pd dalla palude per poter fare bene opposizione”, dice un deputato di AreaDem. E i nomi? Da qui a febbraio “la strada è lunga, intanto c’è il comitato costituente, l’unica cosa certa è che i candidati, ufficiali e non, vogliono smarcarsi dalle correnti”, dice un deputato. Ma se le correnti si camuffano sarà impossibile. 

 

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