"Attenti all'ammazzagoverni". Perché Meloni teme le manovre di Renzi al Senato

Valerio Valentini

C'è chi lo descrive pronto a fare da stampella al governo. Ma la premier lo considera pericolosissimo. "Più pericoloso dei nostri nemici giurati". Così il leader di Iv fila la lana con Franceschini, ma anche col centrodestra, per le commissioni di vigilanza. E intanto attacca il Pd. "Ai dem rode che noi incalziamo FdI sui temi che fanno più male", dice Calenda

Giovanni Donzelli, l’uomo che regge l’organizzazione di FdI, che per ragioni di condivisa toscanità lo conosce bene, dice di lui che è “il quasi nemico che si rivela più pericoloso dei nemici giurati”. Guido Crosetto, che lo incontra alla buvette e lo abbraccia come si fa con gli amici, quando gli si fa notare che quella del Terzo Polo è un’opposizione meno pregiudiziale del Pd, si ricorda di Laocoonte: “Timeo Danaos”, eccetera. Lui sta lì, se la ride: "Devo ringraziarli: mi fanno perfino più micidiale di quanto non sia. E sì che ho una discreta autostima”. Eccolo, Matteo Renzi. Giorgia Meloni lo ascolta per la prima volta dalla sedia più alta al governo e gli concede l’onore delle armi: “Ammazza, bravo”. Ma ai suoi dice di diffidare sempre di lui: lo definisce “l’ammazzagoverni”.

E quindi anche per questo la premier ha già adottato le contromisure. Con uno zelo forse perfino eccessivo, se quella vecchia volpe di Maurizio Lupi, che è parte in causa, dice che “di questa cosa meno se ne parla e meglio è”.  Questa cosa è, come si sa, un gruppo di “Civici e Moderati” al Senato fatto nascere in laboratorio, col prestito di tre eletti meloniani. A guidarlo è Antonio De Poli. Ma l’uomo di riferimento per Meloni è Giorgio Salvitti, patriota duro e puro, in FdI fin dalla sua fondazione, che risponde direttamente a Francesco Lollobrigida. E’ lui a dover monitorare movimenti strani di forzisti recalcitranti. L’obiettivo dell’operazione lo spiega Michaela Biancofore, pure lei della pattuglia: “Se anche dovessero esserci uscite da FI, resterebbero comunque nel perimetro del centrodestra”.

Presto, troppo presto per ipotizzare certi azzardi. “Serve più che altro come mossa deterrente”, spiegava giorni fa  proprio Lollobrigida. Qualcosa in più si capirà la prossima settimana. Anzitutto perché tra qualche giorno andranno scelti i sottosegretari. E chi ha visto la fila di forzisti, eletti e non eletti, aggirarsi ieri in Senato col vestito buono, tutti in attesa di poter scambiare una parola direttamente col Cav., tutti in ansia per una promessa da strappare, una  buona parola, sa quanto sia lunga la lista di quelli che, senza una ricompensa, potrebbero poi cercare fortuna altrove.

Toccherà quindi alle commissioni di garanzia. Che è  la materia su cui si esercitano i professionisti, in queste ore. Dario Franceschini raggiunge Renzi alla buvette e lo prende sotto braccio: “Qui bisogna trovare un accordo”, gli dice. Bisogna, cioè, elaborare una strategia comune per evitare che la spartizione delle presidenze di Copasir e Vigilanza Rai, destinate alle opposizioni, finisca in zuffa. “Dario, che è persona saggia, sa che avrebbero fatto bene a coinvolgerci anche su vicepresidenze e questori”, spiega l’ex premier. Che allude a un’intesa possibile, e solo apparentemente impensabile, tra FdI e M5s: che s’è intravista già la scorsa settimana nella scelta dei segretari d’Aula. E allora Renzi e Calenda, in mancanza di un’intesa con le altre opposizioni che al momento non c’è, presenteranno candidature terzopoliste sia al Copasir, con Ettore Rosato, sia in Vigilanza, con Maria Elena Boschi o Mara Carfagna. “E poi ce la giochiamo a chi è più bravo”. Più bravo, cioè, a guadagnarsi  i voti a scrutinio segreto della maggioranza. E poi c’è anche la costituenda commissione d’inchiesta sul Covid. “E certo, se toccasse a noi sapremmo farla fruttare”, dice la capogruppo renziana Raffaella Paita. Obiettivo, dunque, Massimo D’Alema? Forse perfino di Giuseppe Conte? “Su D’Alema mi taccio, perché tutto ciò che verrà fuori nei prossimi mesi  chiarirà molto della scorsa legislatura. Ed è una cosa che va oltre i confini della politica”, dice Renzi. Che poi però taglia corto: “Ma quella Commissione chissà quando si farà”. 

“D’altronde qui c’è chi fa opposizione e chi si accontenta di fare opposizione all’opposizione”, si lamenta il dem Alessandro Alfieri. Lo dice perché Renzi, nel suo intervento in Aula, ha bastonato quasi più i velleitarismi del Pd sul “merito” e le questioni di genere che non la premier.  “Ma al Pd rode che noi incalziamo Meloni sui temi che davvero le fanno male: l’economia, le riforme,  Piombino”, ribatte Calenda.       

Certo è che i numeri della maggioranza sono quelli che sono. E infatti quando Paola Taverna, grillina che bazzica quotidianamente il Transatlantico pur in quota  “ex Casta”, in contra al bar Isabella Rauti, neo capogruppo di FdI, la interroga: “Ma come mai tutti questi senatori mandati al governo? Non rischiate di restare sguarniti”. “Eh sì, è un problema. Mi toccherà girare sempre col pallottoliere, specie nelle commissioni”. E l’innominato è sempre lui: Renzi. Che, a seconda dei casi, viene descritto come la possibile stampella o il sabotatore. Sarà lui a soccorrere i patrioti, o sarà lui a sottrarre loro i forzisti in uscita? Lucio Malan, meloniano, sorride: “Renzi è uno che quando  ti ci appoggi, cadi”.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.