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cambi nei palazzi

Dal Mef alla Giustizia, ecco la cartina della continuità di Meloni con Draghi

Carmelo Caruso

Nei ministeri si formano le squadre del nuovo governo. E se prima i tecnici rifiutavano le offerte della premier oggi i burocrati la inseguono

“Se serve, se occorre…”. Ricordate cosa si diceva? “Rifiuti su rifiuti. No alla Meloni”. Benissimo. Oggi i burocrati la inseguono. Li individuate facilmente. Stazionano a piazza Colonna. Sono vestiti da comunione e tengono il telefono con due mani. Aspettano la chiamata. Noi abbiamo parlato, per caso, alla Camera, con un possibile futuro capo di gabinetto, uno che non ha bisogno di offrirsi. Si chiama Raffaele Perna. Era già stato capo di gabinetto quando Meloni era ministro della Gioventù. Uno ormai certo del ruolo è Carlo Deodato. Era capo del Dagl, con Draghi, e sarà il prossimo segretario generale di Palazzo Chigi. Sono i “neomelonici” ma cantano sempre la stessa musica: “Il potere è mobile/ qual Draghi al vento/ muta d’accento e di pensiero”. 


Si ripeteva che Meloni non avesse “teste” e invece le migliori sono già “a disposizione”. Sono le stesse che da più di vent’anni vengono chiamate a gestire ministeri. Perché le teste, alla fine, sono sempre quelle con qualche piccolo cambio. Ad esempio, a questa tornata, il Consiglio di Stato, l’astuccio dei nostri burocrati, si ferma un giro a favore dei magistrati ordinari (si veda la nomina di Alfredo Mantovano a sottosegretario). Lo fa notare un docente: “Se come pare al Mef, come capo di gabinetto, andrà la formidabile Daria Perrotta  è evidente che ne esce indebolito il Consiglio di Stato. E anche se non va Daria, l’altro nome è Luigi Fiorentino, un ‘cassesiano’ (vale a dire un allievo del sommo Sabino Cassese) che è già stato alla Ragioneria generale”. In realtà al Mef non è stato deciso nulla ancora. Si fanno i nomi di Perrotta, Fiorentino (forse resta all’Istruzione dove si trova) ma anche di Glauco Zaccardi, già capo del legislativo del Mef. E di diritto entra Stefano Varone che è stato capo di gabinetto di Giorgetti al Mise. L’unica discontinuità sarebbe l’uscita di Alessandro Rivera, influentissimo direttore generale del Tesoro. Al centrodestra non è  piaciuta la sua gestione del dossier Ita. Quanto si scrive è naturalmente da prendere con il beneficio dell’errore. Alle primarie per fare il   capo di gabinetto di Meloni si stanno sfidando Gaetano Caputi, già capo di gabinetto del ministro Garavaglia, e  Perna.  Perna chi? Non lo conoscevamo neppure noi prima di una preziosa imbeccata. Venne suggerito alla Meloni, ai tempi ministra, da Elio Vito. E’ stato sei volte capo di gabinetto, oggi lavora alla Camera, fuma toscani, legge il Candido di Sciascia e ascolta Bach. Ha fatto l’esame da avvocato con Stefano Dambruoso, magistrato, già consulente dell’Onu. Dicono che il ministro Carlo Nordio possa indicare lui come capo di gabinetto (l’altro nome  è quello di Alberto Rizzo, presidente del tribunale di Vicenza). Si sta creando, se si crea, un importante filone pugliese. Perna, Caputi, Dambruoso sono pugliesi come Mantovano e Raffaele Fitto a cui hanno affidato una specie di super ministero. Avrà la competenza sul Pnrr che aveva in passato Roberto Garofoli (guarda caso, altro pugliese).

Se è vero, come pare, che alla Farnesina il ministro Tajani sceglierà come suo capo di gabinetto uno tra Maurizio Massari (ambasciatore all’Onu) e Armando Varricchio (lo è a Berlino) quale sarebbe invece la discontinuità? Un altro nome è Stefano Sannino. Fa il segretario generale del sevizio europeo per l’azione esterna su nomina di Josep Borrell. Un altro profilo ancora è quello di Bruno Archi. Si attinge insomma sempre dallo stesso lago, il buon lago italiano. Per sostituire il  consigliere diplomatico di Mario Draghi, Luigi Mattiolo, in pensione, è già stato mobilitato l’ambasciatore Francesco Maria Talò.

Alla Difesa, ad affiancare Guido Crosetto, non potrà che esserci un generale. Il nome dicono sia  quello di Pietro Serino, già Capo di stato maggiore. Il marine Luciano Portolano resterebbe invece segretario generale della Difesa. Pure Salvini si è scelto, come capo di gabinetto, e questo è certo, Alfredo Storto. Sapete cosa faceva? Era capo dell’Ufficio legislativo di Daniele Franco. Gilberto Pichetto Fratin, che è il nostro new Cingolani, si porta con sé Mario Antonio Scino che era vice capo di gabinetto del Mise. La ministra del Lavoro Calderone ha già nominato il suo cg (così li abbreviano). E’ Mauro Nori ed è stato già direttore generale dell’Inps, consigliere di Giovanni Tria e oggi segretario generale Cnel. Da Matteo Piantedosi, prefetto, resta invece Bruno Frattasi, che era capo di gabinetto anche della ministra Lamorgese. All’Università si sposta Marcella Panucci che era “cg” di Renato Brunetta. E poi. Agli Affari europei “cg” dovrebbe essere  Ermenegilda Siniscalchi che stava già alla Famiglia quando ministro era Lorenzo Fontana. E’ stimata da Deodato che sarà l’inchiostro di governo Meloni come lo era stato di Draghi. E si è arrivati alla fine. Canticchiando “Il potere è mobile” di Verdi sono  sempre loro,  i classici, che a ogni governo si “mettono all’opera”. I “neomelonici”.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio