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Il racconto

Alto che capogruppo, nel Pd è corsa per le vicepresidenze delle Camere

Simone Canettieri

Serracchiani e Malpezzi più che alla riconferma pensano a Montecitorio e Senato. Al loro posto ticket Ascani-Valente. Big in silenzio, l'ora delle trattative

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Non è il Pd, ma l’Udi. In questa fase, nel principale partito d’opposizione esistono solo le donne. Un piccolo gineceo. Tutte contro tutte, però. I tre ministri uscenti, che poi sono i capicorrente, rimangono silenti. Il segretario semi dimissionario, che oggi sarà a Madrid alla cerimonia di premiazione di Josep Borrel davanti al re di Spagna Filippo VI, ha lasciato come al solito l’incombenza a Marco Meloni, il Bernardo di Zorro-Letta. Che proverà a far quadrare le ambizioni e le rivendicazioni di chi è stato maltrattato nelle liste (che ha gestito lui).

E dunque in un partito sospeso fra dismissione e ripartenza, si scopre che sotto sotto le capigruppo uscenti di Camera e Senato, Debora Serracchiani più di Simona Malpezzi, se potessero si accomoderebbero alle vicepresidenze di Montecitorio e di Palazzo Madama. Perché? Questione di prospettiva e durata. Se venissero confermate – ipotesi congelamento – il nuovo segretario potrebbe sostituirle come segnale di discontinuità. Evenienza tecnicamente impossibile alla Camera e al Senato dove una volta elette rimarrebbero in grazia di dio fino al prossimo voto. 

Letta, nell’ultima direzione, si è limitato a indicare “due donne alle presidenze dei gruppi parlamentari”. E su questo tutto si muove. Sicché al posto di Serracchiani – molto attiva in queste ore – potrebbe candidarsi Anna Ascani, con la benedizione lettiana. In ribasso le quotazioni di Marianna Madia, che a sua volta non è ben vista, dicunt, da un gruppo di colleghe. “C’è aria di misoginia da parte di alcune donne contro di me”, ha detto, per esempio, al Corriere Paola De Micheli, già autoproclamatasi ai tempi ministeriali “Kamala bianca”, e ora intenzionata a scalare la segreteria. Anche se per esperienza avrebbe potuto fare la capogruppo anche lei. Tutte contro tutte. Con la capa delle donne dem, Cecilia D’Elia, sconfessata e quasi ripudiata e dunque difficilmente in grado di parlare a nome di un mondo uscito sottodimensionato dalle urne: i maschi eletti sono i due terzi di tutto il cucuzzaro.

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Al Senato, se Malpezzi dovesse andare a fare la vicepresidente si fa il nome di Valeria Valente. Ma prenderebbe così il posto di Anna Rossomando, che è l’uscente. “Sono cinque nomi validi”, ripete Letta in queste ore. Nel Pd si torna dunque a parlare di incarichi parlamentari, che poi sono strapuntini visti i fasti recenti. Posto che non ci sono solo i capigruppo e le vicepresidenze delle Camere (per le quali serve un accordo con le altre opposizioni, a partire dal M5S) si riflette e si fa fantacalcio anche sugli altri ruoli di garanzia destinati alle minoranze. Che nel caso del Pd sono i maschi. E dunque c’è il Copasir dove il candidato naturale alla presidenza sarebbe ed è Enrico Borghi, diventato nel frattempo senatore. Se dovesse valere l’alternanza, quello uscente Adolfo Urso veniva sempre da Palazzo Madama, e quindi questa volta toccherebbe a un deputato.

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E chi meglio di Lorenzo Guerini, ministro della Difesa (sarebbe un bis)? Rimane da capire anche chi andrà alla vigilanza Rai, anche se il M5s non è certo intenzionato a guardare, anzi. Giuseppe Conte ed Enrico Letta prima o poi dovranno confrontarsi su questo tema. Sapendo che il Terzo polo potrebbe giocare in contropiede con i voti del centrodestra. Per la giunta delle autorizzazioni al Senato si fa il nome di Dario Franceschini, che per curriculum potrebbe a fare il vicepresidente del Senato, come Guerini quello della Camera. Ma chi glielo dice alle donne? Andrea Orlando giura che non è interessato a questi ruoli e che pensa al congresso. Nicola Zingaretti, che fa parte della gallerie dei busti Pd in quanto ex segretario, potrebbe ritornare in corsa per Montecitorio. Ma siamo da capo a dodici. In compenso, ci saranno da eleggere anche i questori (e i segretari). Se toccheranno in entrambi i rami del Parlamento al Pd, si vocifera del tandem Roberto Morassut, uno dei pochi eletti sul campo negli uninominali, alla Camera e di Bruno Astorre, segretario regionale nel Lazio e franceschiniano, al Senato. Questa tombola di serie B – rispetto al totogoverno che si gioca nel centrodestra – andrà avanti ancora per qualche giorno. Domani, intanto, nella Sala Berlinguer della Camera è convocata la prima assemblea dei gruppi Pd con vista sulle presidenze da eleggere. Ma con la testa ai primi ruoli da spartirsi a partire dalla prossima settimana. 
 

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