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Meloni vorrebbe occuparsi del Mef, ma invece deve piazzare Ronzulli

Salvatore Merlo

Piuttosto che pensare al ministero chiave, l'Economia, la leader di Fratelli d'Italia è chimata a chiedersi dove possa dare meno fastidio l'esponente di Forza Italia. Se al governo o in Parlamento

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Nei libri di avventure marinare leggevamo del tragico momento in cui il carico si scioglieva dalle funi e cominciava a spostarsi pazzamente per la stiva, ora slittando a prua, ora scaraventato a dritta, ora cozzando contro la fiancata sinistra della nave, ora precipitando a poppa, secondo il moto dell’oceano in tempesta. Il capitano e i marinai non mancavano mai, a quel punto, di raccomandare l’anima a Dio; e poi si gettavano nella disperata impresa di riportare sotto controllo la massa instabile e micidiale. Ebbene, la formazione di un nuovo governo non è tanto dissimile. E bisogna  proprio immaginarsela allora Giorgia Meloni, assieme ai suoi marinai, che mentre cerca di legare saldamente nella stiva un ministro dell’Economia che non faccia esplodere i conti pubblici (dunque non Tremonti, che è all’incirca il confetto Falqui dello spread: basta la parola), mentre insomma è impegnata con tutte le sue energie a tenere salda l’idea di una “squadra di alto livello” si vede scappare e rotolare da tutte le parti sia Salvini sia Berlusconi. Il primo si scaraventa a babordo e insiste ancora con il Viminale, dunque fa sapere che “non ci sono veti su Salvini” (se lo dice da solo). Il secondo, a tribordo, ha piazzato Licia Ronzulli, basculante senatrice e assistente personale, alla quale ora bisogna per forza dare un ministero.

E ha voglia Giorgia Meloni di inseguire con le funi il suo ministro dell’Economia, l’uomo senza il quale il governo forse nemmeno regge in tempesta; ha voglia lei di spiegare che questa è la cosa più importante di tutte, la casella decisiva, quella che se azzeccata consente poi di dormire sonni tranquilli. Niente da fare: deve occuparsi del Viminale e di Licia Ronzulli. La prima questione, il Viminale, le sembrava forse per un attimo chiusa. Ma a quanto pare non lo è affatto. La seconda invece sta diventando un rompicapo, un incastro da stipatori di sardine, per restare in metafora marinara. Perché esattamente come sarebbe da evitare di mettere Salvini nelle condizioni di nuocere alla navigazione del futuro governo consegnandogli un ministero della Forza, che lui trasformerebbe in un palcoscenico del teatro, così per lo stesso motivo il sesto senso politico di Meloni le suggerisce di non piazzare al governo un’amica e alleata di Salvini, ovvero la senatrice Ronzulli, colonnella di Forza Italia, l’ex infermiera del Galeazzi di Milano che fece amicizia con Salvini nel 2008  quando fu eletta al Parlamento europeo.

 

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Era il periodo in cui lei s’era guadagnata la simpatia di Berlusconi per avergli fatto alcuni massaggi facciali post lifting. Finì candidata a Bruxelles e lì conobbe Salvini, che detestando l’Europa stava ovviamente all’europarlamento da anni e dunque le spiegò come si campava da quelle parti. Divennero amicissimi. Un sodalizio di ferro, che oggi per Meloni significa la quasi certezza che Forza Italia seguirà Salvini qualsiasi scherzo il leader sgarzolino volesse tirarle in futuro. E allora le riunioni strategiche, le mille telefonate che Meloni e i suoi collaboratori vorrebbero indirizzare ai vari super tecnici e competenti, ai potenziali ministri delle cose serie, vengono dirottate sul Viminale e su un dubbio sesquipedale. Questo: se non diamo un ministero a Ronzulli non è che è peggio, e la fanno capogruppo al Senato dove la maggioranza è assai meno solida? La metafora del carico nella stiva in tempesta non è affatto peregrina.

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