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il commento

Meloni e la questione del “non essere”

Claudio Cerasa

Non come Salvini. Non come Le Pen. Non come Orbán. Non come Trump. Non come Truss. E Draghi? Il populismo tossico alimentato da Meloni & co. alla prova di una grande riconversione: il non farò. Idee, dubbi e scenari

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To be, or not to be, that is the question. Per la prima volta nella storia recente della politica italiana, la fase preliminare della formazione di un governo, quello che verosimilmente entro poche settimane guiderà Giorgia Meloni, in un qualsiasi giorno diverso dal 28 ottobre (marciare su Roma cento anni dopo: ehm), dal 31 ottobre (governo Halloween: uhm), dal 1° novembre (governo Ognissanti: troppo ottimismo) e dal 2 novembre (governo dei morti: troppo pessimismo), è una fase caratterizzata da una cifra stilistica interessante da studiare, che coincide con quello che è il vero punto di forza della premier in pectore. In altre parole: non cosa farà, che ancora non è chiaro, ma certamente cosa non farà. Essere o non essere: that is the question. Finora, se ci si fa caso, è stato questo il vero punto di forza di Giorgia Meloni. Dire o far capire o lasciare intendere cosa certamente non farà con il governo quando sarà il suo turno. E’ stato così durante la campagna elettorale, è stato così anche dopo la campagna elettorale. E dunque no, dice Meloni: non farà un governo costruito come quello gialloverde, dove incidentalmente c’era anche l’adorato Matteo Salvini. E dunque no, dice Meloni: non farà scostamenti di bilancio, come incidentalmente vorrebbe fare l’adorato Matteo Salvini. Non farà un governo antieuropeista. Non cambierà la linea sulla politica estera, rispetto a Draghi. Non ci saranno tentennamenti né sulle sanzioni alla Russia né sull’invio delle armi, come incidentalmente vorrebbe fare un alleato di Giorgia Meloni, e potete immaginare quale. E poi, ancora, dice Meloni, non ci sarà alcun rigurgito fascista – essere o non essere, ovviamente non essere. Non ci sarà alcuna svolta sull’aborto – la legge 194 si applica, non si cambia, non si segue il modello dei conservatori trumpiani. Non ci sarà alcuno stravolgimento del Pnrr – il Pnrr si modifica, al massimo, ma non si rinegozia, tranquilli. Non ci sarà alcun populista al ministero dell’Interno – chi era l’ultimo populista al Viminale? Non ci sarà un Tremonti che terrà le redini economiche dell’Italia – non essere come il governo del 2011, governo che portò al quasi default l’Italia, governo di cui pur in una posizione defilata faceva parte Meloni, è una delle più grandi preoccupazioni del centrodestra meloniano. 

Non ci sarà un politico al ministero del Tesoro –  tra le poche cose che sembrano essere certe, nel prossimo governo c’è la volontà di separare le Finanze dal Tesoro  con la nomina di un viceministro alle Finanze, come Maurizio Leo, autorizzato a partecipare  ai consigli dei ministri, ci si augura con un contributo non simile a  quello offerto da assessore al Bilancio della giunta Alemanno. 

E’ stato il non essere, finora, il grande punto di forza di Giorgia Meloni, e anche in proiezione futura è verosimile che la sua affidabilità verrà misurata rispetto a ciò che non farà, rispetto a quanto la sua azione di governo sia distante (not to be) dal modello Le Pen, dal metodo Orbán, dall’esempio di Vox e anche dalle idee suggestive ma spericolate portate avanti da una leader politica  cui Giorgia Meloni aveva detto di voler ispirarsi: Liz Truss. Il caso Truss, visto con gli occhi di Meloni, rappresenta lo specchio perfetto delle paure di un centrodestra che sogna di essere diverso  dalla stagione del 2011 e da quella gialloverde (not to be). In sintesi: un governo con un debito pubblico più basso rispetto a quello italiano che sceglie di sfidare i mercati usando il debito pubblico per tagliare le tasse e che nel giro di poche ore viene drammaticamente travolto dai mercati. E dunque. Non essere come Salvini. Non essere come Le Pen. Non essere come Orbán. Non essere come Trump. Non essere troppo diversa da Draghi. Con un grande dubbio, un grande mistero, un grande problema. Ma sarà davvero sufficiente giocare con la chiave del “non essere” per essere in grado di tenere lontano dal governo tutta la tossicità che il populismo ha alimentato prima di scoprire la stagione del not to be? That is the question, baby.

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