Perché la Melonomics sarà fatta solo di misure simboliche (per ora)

Luciano Capone

Tante promesse e poche risorse. Tra frenata del pil e scadenza degli aiuti per le bolletta, nella legge di Bilancio ci sono pcohi margini per realizzare il costoso programma del centrodestra. Giorgia Meloni punterà sull'introduzione della "flat tax incrementale", una bandierina che costa poco

Guido Crosetto, fondatore di FdI e consigliere di Giorgia Meloni, subito dopo la vittoria elettorale ha detto che il governo entrante di centrodestra dovrà “lavorare a un’interlocuzione” con l’uscente governo Draghi nell’elaborazione della legge di Bilancio. Sono i tempi tecnici a richiederlo, dato che bisogna inviare a Bruxelles il Documento programmatico di bilancio entro il 17 ottobre. Ma non solo.

 

Certamente, ci sono poche settimane per preparare la Finanziaria rispetto ai mesi che hanno a disposizione i nuovi governi che in genere si insediano in primavera. Ma oltre alle prime elezioni avvenute in piena sessione di bilancio, dietro la richiesta di collaborazione con il governo Draghi c’è anche un contesto economico complicato: inflazione, choc energetico, problemi di approvvigionamento, rialzo dei tassi e rallentamento della crescita con lo spettro di una recessione nel 2023. Cosa può realizzare del suo programma, in questa situazione, un eventuale governo Meloni?

 

Mentre la probabile presidente del Consiglio incaricata sceglierà il suo ministro dell’Economia, il profilo dovrebbe essere quello di una figura tecnica con una buona reputazione sui mercati e in Europa, si dovrà partire dai numeri. In particolare quelli della Nadef, che il governo Draghi dovrebbe presentare questa settimana (la scadenza in teoria è oggi) e in cui ci sarà il quadro tendenziale con i dati di finanza pubblica per il 2023. Le stime preliminari, ancora oggetto di revisione, parlano di una crescita sotto l’1% (0,7-0,8) che è un dato tutto sommato positivo rispetto ai venti di recessione che spirano in Europa, ma è oltre 1,5 punti più basso rispetto al Def di aprile. Ciò vuol dire 11-12 miliardi in meno di entrate.

 

Alla minore crescita vanno aggiunti tutti gli aiuti contro il caro bolletta in scadenza: ad esempio l’estensione a dicembre (mese scoperto) del credito d’imposta sull’energia per le imprese costa quasi 5 miliardi. Ci sono poi tutti gli altri sostegni molto costosi, dal taglio delle accise a quello degli oneri di sistema e dell’Iva sul gas, da rinnovare per l’anno prossimo. Vuol dire che il governo Meloni, se non vuole alzare deficit e debito aprendo uno scontro sanguinoso con Commissione e mercati, dovrà coprire 30-40 miliardi solo per lasciare le cose come stanno. E il programma elettorale?

 

Il centrodestra ha promesso molto sulle pensioni. E qualcosa farà, visto che a dicembre scade Quota 102 e si ritorna alla Fornero. Non la Quota 41 di Salvini, che costa 7,5 miliardi l’anno, ma probabilmente qualche forma di flessibilità in uscita legata ai contributi versati. Anche perché c’è da considerare che già lo choc inflazionistico, attraverso l’adeguamento automatico delle pensioni, comporterà un aumento di circa 0,5 punti di pil di spesa (8 miliardi). Meloni ha promesso anche il taglio di 5 punti del cuneo fiscale: considerando che c’è da rinnovare il taglio di 2 punti fatto dal governo Draghi, aggiungerne altri 3 costa complessivamente circa 9 miliardi. Di sicuro non ci sono le risorse per la famosa flat tax (o per la riforma fiscale a tre aliquote proposta da FdI), ma il centrodestra è d’accordo su due misure che possono essere vendute come “un inizio”: l’estensione della cosiddetta flat tax sugli autonomi fino a 100 mila euro di fatturato e l’introduzione della cosiddetta flat tax al 15% sui redditi incrementali rispetto alle annualità precedenti.

 

Si tratta di due provvedimenti distorsivi, iniqui e, soprattutto il secondo, dall’impatto marginale. Ma hanno il vantaggio di avere un costo abbastanza contenuto e un alto valore simbolico-propagandistico. Con tante aspettative da non deludere e pochi soldi da distribuire, tra la necessità di dare qualcosa agli elettori nei primi 100 giorni e di non spaventare i mercati mettendo in fuga gli investitori alla prima Finanziaria, è probabile che Meloni partirà da qui.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali