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Il caso

Salvini e la difficile collocazione nel governo: dal Viminale al Senato

Simone Canettieri

E' convinto che potrà ritornare all'Interno se la Lega andrà bene, nonostante i dubbi di Meloni. Ma c'è chi gli consiglia di rimanere fuori se le cose dovessero andare male. Pazza idea: presidenza di Palazzo Madama per trattare

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Domenica Matteo Salvini ha detto che “per me sarebbe un onore essere scelto dal presidente Mattarella come premier”. Parlava dal palco di Pontida. Ieri da Crotone, ennesima tappa di un tour in cui ha macinato migliaia di chilometri, si è limitato a questo  vaticinio: “Domenica Pd e M5s canteranno ‘Bella ciao’. Ma alla poltrona. Perché vinceremo noi”.

Tuttavia  nella Lega, e nel resto del centrodestra, da giorni si batte sempre sullo stesso chiodo: quale casella di un ipotetico governo Meloni potrebbe riempire Salvini?

Le variabili sono moltissime. Nella testa del capo del Carroccio, anche se può sembrare strano, rimane l’opzione Viminale. All’inizio della campagna elettorale era proprio lui a dirlo, attraverso   una campagna social martellante. Poi, quando gli hanno raccontato dei sorrisi di Giorgia Meloni, ha iniziato a non parlarne più. Ma il suo obiettivo, racconta chi gli è amico oltre che fedelissimo, rimane il ministero dell’Interno. Sicuro che la leader di FdI non si opporrebbe e che il Colle non direbbe di no alle richieste provenienti dal capo di un partito di maggioranza. Due scenari tutti da verificare. Ecco perché ci sono pezzi importanti di Lega che gli consigliano, chissà con quale doppio fine, di sparigliare. Di inventarsi il colpo di teatro: niente governo, Matteo, vai a fare il presidente del Senato. 

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Salvini presidente dell’assemblea di Palazzo Madama e Seconda carica dello stato. Sembra complicato, se non impossibile. Ma se ne parla in via Bellerio. Magari è una questione di tattica. Davanti a una serie di no ripetuti, il segretario del Carroccio potrebbe agitare sul tavolo questo scenario rimettendosi alla volontà dei senatori del centrodestra. Nella Lega la poltrona di presidente del Senato rimane il sogno e l’ambizione di Roberto Calderoli, profondo conoscitore di tutti agli articoli e i codicilli che regolano la vita della Camera alta. Tuttavia “il problema”, se così si può chiamare, rimane Salvini. Il quale al di là della dissimulazione di Pontida è consapevole dell’importanza interna della percentuale che prenderà. Anche ieri ha diffuso le immagini di sedici piazze, “tra le decine riempite da nord a sud in questa campagna elettorale”. In cui gli va riconosciuto di non essersi mai risparmiato, segno dell’importanza della posta in palio. Anche chi gli è amico, con la grazia di chi vorrebbe proteggerlo, gli consiglia di non forzare su un ingresso nel governo a tutti i costi, se il Viminale e il Lavoro non dovessero essere alla portata. Ecco perché Salvini, come piano B per tornare al piano A, fa girare o vagheggia l’ipotesi di puntare sul Senato, ben consapevole degli effetti che potrebbe avere questa scelta sulla legislatura. 

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Per i suoi nemici interni, che esistono ancora, sarebbe un modo “per imbrigliarlo” in un ruolo istituzionale e super partes. “Da dove si può fare politica, come ricordano i casi, alla Camera, di Fausto Bertinotti e Gianfranco Fini”. Ma si ritorna sempre lì: tutto dipenderà dalle percentuali del Carroccio. La linea Maginot rimane il 10 per cento. L’asse dei governatori del nord-est, Zaia & Fedriga, un mese fa la buttarono là a mo’ di provocazione: “Matteo? Starebbe bene alle Politiche giovanili”. Oltre al Viminale e al Lavoro, la margherita di Salvini comprende anche il ministero delle Infrastrutture dove avrebbe il joystick per gestire la Guardia costiera davanti agli sbarchi. Un Tetris non da poco. Per tanti attori. E non solo nel centrodestra.
 

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