(foto Ansa)

Marco Bucci, o la bella stagione dei doveri. Chiacchierata con il primo cittadino di Genova

Giampiero Timossi

Non si schioda dalla definizione di “sindaco civico”, perché “il concetto di destra e sinistra è superato”. La lettera a Draghi, il Pnrr che deve marciare spedito, i progetti per la città. Intervista

Marco Bucci è un crash test della politica: dalla sua prima elezione, il 25 giugno 2017, il sindaco di Genova e la sua giunta hanno affrontato senza apparenti affanni le turbolenze che agitano periodicamente il centrodestra. Un sindaco con la “testa sulle spalle”, e anche questo ovviamente è un complimento. Certo, pure Bucci adora gli elogi, però preferisce che vengano fatti alle sue spalle. Quando gli vengono sbattuti in faccia stringe i denti, alza il sopracciglio sinistro, socchiude l’occhio destro: è il segnale che il comportamento stride con il suo carattere. Un carattere educato alla fermezza.

Gli piace non piacere, almeno non a tutti e questo è certificato: nell’ultima campagna elettorale se n’è infischiato delle multe, chi infrange le regole deve pagare il giusto, anche nei giorni della par condicio. Con il progetto della skymetro in Valbisagno, la vallata dello stadio Luigi Ferraris, ha sfidato le ire di un bel gruppetto di comitati. E ha portato a casa uno storico 2-0, vincendo in entrambi i municipi. Le storie sono fatte per cambiare, ma quelli erano sempre stati quartieri rossi. Perché avere una visione del futuro non è prerogativa di pochi, poi però devi affrontare la sfida. Ora basterebbero queste storie cittadine per capire come nella sua Genova la stagione dei doveri sia iniziata da un pezzo. Il popolo gli piace, le elezioni del 12 giugno hanno confermato che il sentimento è ricambiato. Lo accusano di essere un populista del fare. Certo non è un populista del disfare.
 

Ci sono altre cose che Bucci non gradisce: “Non mi è mai piaciuto che qualcuno mi tiri per la giacca”. Così il sindaco fa uno strappo alla regola e la giacca se la toglie subito, appena entra nel suo ufficio, al sesto piano di palazzo Tursi, in via Garibaldi, la strada con i palazzi più belli di Genova.  Altri appunti di viaggio: non si schioda dalla definizione di “sindaco civico”, appare relativamente riposato, di ottimo umore e dunque supera con un sorriso un pressing inevitabile. Sostiene che “non è compito di un amministratore fare il commentatore politico, non sarebbe rispettoso dare giudizi sul lavoro di altri, non lo sarebbe neppure per l’incarico che gli elettori mi hanno assegnato per la seconda volta”. Non sembra una tattica, è questione di educazione, ieri aziendale, oggi civica. E comunque Bucci si assume la responsabilità delle sue azioni, le rivendica, le ribadisce. Lo farà anche citando Platone. Parlerà, non a caso, del genovese Embriaco degli Embriaci che fece la sua bella figura a Gerusalemme liberando il Santo Sepolcro e alla fine accetterà che si tiri in ballo anche Giorgio Gaber, il cantautore più amato. Lo fa per argomentare, non per svicolate. Non serve neppure chiedergli per quale motivo, il 17 luglio, sia stato tra i primi 11 firmatari delle lettere che altrettanti sindaci avevano inviato a Mario Draghi. Chiedevano al premier di restare al proprio posto, nell’interesse supremo del paese. La lettera non era neppure partita che la scelta di Bucci era già stata definita inopportuna da Fratelli d’Italia. A Genova il partito di Giorgia Meloni non solo ha sostenuto la ricandidatura del sindaco, ma in giunta ha due assessori e altrettanti consiglieri delegati. Non sono dettagli trascurabili.

“E’ giusto che la politica esprima le proprie opinioni, per quanto mi riguarda sono stato chiamato ad amministrare”. Quindi? “Rifirmerei quella lettera, assolutamente”. Non è una provocazione, c’è una spiegazione: “Chiunque amministri ha bisogno di supporto dal governo: dal punto di vista finanziario ed economico, così come dal punto di vista amministrativo, perché le pratiche devono andare avanti, ci sono progetti fondamentali per il futuro delle nostre città, ci sono le scadenze del 2026 che sono inderogabili per quanto riguarda il Piano nazionale di rilancio e resilienza. Quindi ho chiesto a Draghi di rimanere e lo farei con un altro governo che avesse svolto un lavoro così importante in un momento particolare come questo, dopo due anni di pandemia, con la guerra in Ucraina e la crisi energetica che conosciamo”. 

E’ la stagione dei doveri, quella che chiede un’azione di governo che sia capace di andare oltre le tematiche care alla dialettica delle singole forze politiche. Per farla semplice: si tratta di quei cavalli di battaglia che scaldano gli animi e portano di solito voti di protesta in alta percentuale. Più complicato anteporre la logica dei doveri per arrivare al rispetto dei diritti. A Genova il sindaco e buona parte dei suoi concittadini ci provano almeno dal 14 agosto del 2018, dal crollo di Ponte Morandi, con le sue vittime e un’emergenza che almeno nei primi giorni l’amministrazione genovese ha dovuto (e saputo) affrontare con le proprie forze. Domenica saranno trascorsi quattro anni da quella tragedia, Bucci non dimentica, ma guarda ostinatamente avanti, magari anche per reagire a chi nell’ultima campagna elettorale lo ha accusato di aver speculato sulla drammaticità di quei giorni. “Ora preferiremmo che l’attenzione sulla nostra città ci fosse per le cose belle non per le disgrazie che ci hanno colpito, ma sappiamo che quei giorni ci hanno mostrato che la città di Genova sa rimboccarsi le maniche e reagire, sa fare il proprio dovere. Va bene, la definizione stagione dei doveri mi piace, è corretta, ma in fondo aveva già detto tutto Platone”. Tutto cosa? “Chi ha in carico l’amministrazione della cosa pubblica ha il dovere di rispettare l’incarico e di seguire il lavoro a cui si riferiscono gli incarichi”. Tra i doveri quello di portare avanti l’agenda del Pnrr, a tutti i livelli. La sola idea di cambiare strada è l’unica cosa che per qualche istante fa arrabbiare Bucci, “perché interrompere il Pnrr sarebbe il più grosso danno che si possa immaginare, deve proseguire e veloce”.

 

Di stop non ne vuol sentire parlare, mostra una certa soddisfazione per aver superato l’ostacolo che aveva visto il ritiro dalla gara d’appalto di entrambi i consorzi chiamati a concorrere per la realizzazione della nuova diga portuale. Sorride: “Abbiamo fatto come il genovese Embriaco degli Embriaci, che per superare le mura di Gerusalemme distrusse la flotta e con il materiale della flotta costruì torri più alte delle mura”.  Ora, malgrado le tante obiezioni appena presentate dalla Soprintendenza genovese, sogna di veder realizzato un tunnel subportuale, finanziato da Autostrade. E’ un progetto nato per cancellare la strada sopraelevata che dagli anni Sessanta spezza l’orizzonte tra il centro storico di Genova e il suo porto antico. “Passerò dentro il tunnel nel 2027, quando non sarò più sindaco”, ha detto qualche giorno fa. Quasi un lascito alla città, un simbolo del “sindaco del fare”. Questa è l’idea che Bucci ha della politica, qualcosa che nasce anche dalla sua esperienza educativa nell’Agesci, gli scout cattolici.  E di questa idea di politica Marco Bucci parla con evidente piacere, sgranocchiando e offrendo fettine di mela, in maniche di camicia, la giacca blu appoggiata allo schienale della poltrona e alle spalle un bel busto di Lenin. “Ma quale provocazione? E’ il regalo di un caro amico di Reggio Emilia”. Perché Bucci non è né di destra né di sinistra. “Ancora con questa storia? L’ho già detto, lo ripeto, questo concetto è superato, già lo cantava Giorgio Gaber trent’anni fa”. 

Sempre per restare in tema cantautorale, qualche anno prima Gaber cantava “la libertà è partecipazione” e questo è un tema politico caro a Bucci. Di “partecipazione”, è noto, parlò anche Charles de Gaulle, ma solo dopo il Maggio francese. Quella del sessantaduenne genovese è idea declinata in modo differente, fatta anche di momenti più conviviali “come per esempio la colazione con il sindaco” che ama ricordare, dove negli anni del suo primo mandato ha incontrato i concittadini, immerso focaccia con le cipolle nel cappuccino, affrontato critiche dure e dirette, rispondendo o con il suo carattere “abrasivo”, tutto davanti alle telecamere di una televisione regionale e senza filtri. Ora di partecipazione Bucci parla per “fare un cambio sul sociale e migliorare il modo nel quale spendiamo le risorse e non possiamo farlo da soli”, ma ne accenna anche parlando delle opposizioni in consiglio comunale, “in questo avvio le vedo più disposte a una critica costruttiva”. Così mentre si chiacchiera con il sindaco in maniche di camicia t’accorgi quanto gli piaccia parlare di politica senza voler parlare di politica. Visto che applica a sé stesso e agli altri alcune regole inderogabili, serve però trovare le chiavi giuste.

 

Chiedergli chi dovrebbe essere il candidato premier del centrodestra (schieramento che lo sostiene) alle politiche del 25 settembre? Tempo perso, poi però arriva al punto: “Traduco un modo di dire americano: il leader è quello che fa le cose giuste, un manager è quello che fa le cose in maniera giusta. Il leader è quello che decide dove si va, il manager mette a posto le cose e ti ci fa arrivare. Nella giunta che guido ci sono ottimi manager, ma anche leader, nessuna incompatibilità, basta avere chiari i ruoli e rispettarli. Il presidente del Consiglio? Deve essere assolutamente un leader e avere la capacità di decidere cosa fare, poi si deve circondare di grandi manager”. Ecco cosa gli piace di Mario Draghi, “un leader deve cambiare le cose o almeno provarci”. Definizione data a Bucci anche nei 35 anni di esperienza manageriale, ma meglio non dirglielo, alzerebbe il sopracciglio e tutto il resto. “Chi ha avuto leadership nell’opposizione può diventare leader di governo? Assolutamente sì, ma non può essere qualcosa di automatico, deve aver dimostrato di saper fare opposizione, cosa che non ho visto in questi cinque anni nel Comune di Genova”.

Questo dice il sindaco di Genova, uomo con la testa sulle spalle anche nella prima e orribile crisi estiva della storia repubblicana. Che non è né di destra né di sinistra, “ragiono invece in un’ottica di continuo miglioramento, per dare il successo alla comunità con cui vivo”. Ideali e pragmatismo, perché un’azione di governo per essere efficace deve godere di stabilità. Per questo appare credibile che nel cuore della crisi il confronto più costruttivo Giovanni Toti (governatore della Liguria) lo abbia avuto con il suo amico Bucci. Nel rispetto dei ruoli, come se parlasse con il ceo dell’azienda americana per la quale ha lavorato. Il leader politico di Italia al Centro progettava un avvicinamento alla sinistra e un allontanamento dalla destra? Bucci, per una volta avrà vestito i panni di un manager-leader: il progetto doveva mettere in conto la caduta della giunta genovese, a un mese da una netta vittoria. Figuratevi se il sindaco conferma o commenta.
Riparte: “La mia giunta non è mai in difficoltà, fin quando non è in difficoltà”.

Ride, si ferma, spiega e chiude: “C’è un progetto di città, i cittadini aderiscono con il loro voto, aderiscono i partiti e le persone che sono in consiglio comunale, dove ovviamente ci vuole la maggioranza. Qualcuno decide di non aderire più a questo progetto? Manca la maggioranza? Il sindaco va a casa immediatamente, la cosa peggiore che si possa fare è restare in carica senza maggioranza. Se accadesse andrei via, ho la lettera di dimissione pronta nel cassetto della scrivania, da cinque anni”. Resterà nel cassetto, ancora per qualche tempo, non vale neppure la pena di scommettere. Crash test superato, mentre la permanenza nel centrodestra di Italia al Centro è adesso anche una scelta certificata. La suspense, per il momento, finisce qui. Il sindaco saluta, si alza ed esce dall’ufficio: ha un nuovo progetto del quale parlerà con Giovanni Soldini, il grande navigatore, che già lo aspetta in un’altra stanza. Per lui Bucci, sindaco velista, si rimette la giacca. Dei naviganti ti puoi fidare.

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