(Foto di Lapresse) 

La crisi di governo

Letta in allarme: salvare questo governo o pensare già al dopo? 

Valerio Valentini

Le consultazioni del leader pd tra Draghi e il Colle. C'è chi, come Provenzano dice: "Meglio il voto". Al capo opposto, c'è chi come Dario Franceschini, pensa che “se precipitassimo il paese alle urne ora, ci verrebbero a prendere coi forconi”

Il senso della giornata pare maturare poco dopo pranzo, quando Enrico Letta viene ricevuto, forse perfino invitato, a Palazzo Chigi. Non se l’aspettava, il segretario del Pd. E forse era stata questa convinzione, questa speranza, a indurlo a confermare la sua agenda fitta di impegni europei. E però nel prendere forma della crisi si resta a metà tra lo sforzo di lavorare per salvare questo governo e l’azzardo di pensare già a quel che verrà dopo. E’ in questa terra di mezzo, piena di incognite, che si svolge l’incontro tra Mario Draghi e l’ex premier. Ma delle due opzioni, al momento, solo una è quella dicibile, secondo quanto concordato anche col Quirinale, dopo i contatti tra Letta e il capo dello stato: “Il Pd le proverà tutte per salvare questa maggioranza”. Dunque bisogna drammatizzare. “Riunione”. 

Del resto è ciò che già da ieri i collaboratori di Draghi chiedevano al Nazareno. E allora ecco il segnale: “Deputati e senatori, tutti convocati domani”, cioè oggi. A Roberto Fico arriva la richiesta della sala più prestigiosa, quella della Regina: che si veda in modo inequivocabile, la gravitas del momento. Quando il messaggio arriva nelle chat dei parlamentari dem, alla buvette di Montecitorio c’è chi trasalisce: “Ci dà l’estrema unzione”. No, non sarà così. Le elezioni sono uno scenario evocato, ma più come estremo tentativo di deterrenza nei confronti di Giuseppe Conte. E non perché nel Pd non ci sia chi non lo auspichi, lo scenario. Francesco Boccia lo va ripetendo da mesi: “Lo dicevo ai tempi del Quirinale, lo credo ancora, prima finisce questa unione forzata è meglio è”, è l’analisi consegnata dall’ex ministro a chi lo interpella. Peppe Provenzano, vicesegretario con spirito guerriero, è convinto che, malgrado le pressioni che arriveranno da potentati economici, il Pd deve sottrarsi ad altre coabitazioni con la destra: “Meglio il voto”. Al capo opposto, però, c’è chi, come Dario Franceschini, pensa che “se precipitassimo il paese alle urne ora, ci verrebbero a prendere coi forconi”. 


Ed è in bilico su queste tensioni contrastanti – e però insolitamente sotterranee – che Letta vivrà le prossime ore. Ai suoi parlamentari dirà che trova “paradossale e grave che di fronte all’occasione storica di riscrivere l’agenda sociale, di trovare un’intesa sul salario minimo, si preferisca mandare tutto alle ortiche”. Forse tacerà i mugugni che circolano al Nazareno, quelli che descrivono un “Conte in modalità Quirinale, quindi del tutto imprevedibile”. Di certo Letta non considera di poco conto le aperture fatte da Draghi (anche) all’indirizzo del leader del M5s. Lo stesso Andrea Orlando, durante l’incontro coi sindacati ha fatto professione di realismo, ammettendo che soluzioni organiche che abbiano la pretesa di risolvere in breve tempo, e con le ridotte risorse di luglio, i problemi del salario minimo e del lavoro povero, non sono pensabili. Ma un percorso verso quelle soluzioni, quello sì che può essere avviato. 


Se basterà per Conte è difficile dirlo. E forse è questo l’unico sollievo di Letta: sapere che, quando toccherà a lui catechizzare i suoi parlamentari, le volontà del M5s saranno più esplicite, visto che il fu avvocato del popolo riunirà il suo Consiglio nazionale all’alba. “Per ora, c’è imponderabilità totale su di lui”, dicono al Nazareno. E lo sanno anche a Palazzo Madama, che è l’epicentro del delirio. Perché i senatori che parlano con Maria Castellone, la capogruppo grillina, si sentono dire che “Conte è un moderato, ma ormai è trascinato dalla frangia oltranzista, che è maggioritaria”. Maggioritaria al punto che il M5s diserta pure il voto sui pareri che le varie commissioni devono esprimere sul dl Aiuti in vista di giovedì. Mario Turco, vicepresidente di Conte, davanti ai dem parla di un premier “arrogante nei confronti delle esigenze dei  più deboli”. Elisa Pirro, già barricadera No Tav, ai colleghi del Pd che la esortano alla ragionevolezza urla che “Draghi ci prende a schiaffi, la responsabilità della crisi è solo sua”. Per questo dal Senato arrivano al Nazareno report allarmati: “Non riusciamo a farli ragionare”. In risposta, un invito alla pazienza, molto lettiano: “Scavalliamo questa giornata, poi si vedrà”. E oggi è già domani.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.